Juve Stabia, la gioia di Pagliuca: «Vincere al Sud ha un altro sapore»

L'allenatore della squadra che ha centrato la promozione in serie B si racconta

Guido Pagliuca
Guido Pagliuca
di Fabio Jouakim
Mercoledì 10 Aprile 2024, 15:09 - Ultimo agg. 15:30
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A Benevento, mentre lui contava i minuti che mancavano all’impresa, a soffrire e poi a fare festa c’erano anche i genitori, la moglie Laura e il figlio Niccolò. Oggi per Guido Pagliuca, 48enne di Cecina con sangue campano nelle vene - il papà è di Aversa, poi trasferito in Toscana per lavoro - l'allenatore che ha portato la Juve Stabia in B con tre turni di anticipo, dopo la festa al Menti e pochissime ore di sonno («L'adrenalina addosso era tanta») è il momento del riposo. E di riavvolgere il nastro delle emozioni.

Quante telefonate di complimenti ha ricevuto dal mondo dello sport?
«Tante chiamate dai colleghi del nostro girone, mi hanno fatto davvero piacere.

Come quelle dei tifosi della Juve Stabia. E degli amici storici di Cecina».

Una carriera cominciata dal basso, con l'under 14 del Cecina e approdata alla serie B.
«Anche da calciatore ho fatto la D, molta Eccellenza e poca C. Da allenatore è la quinta volta in C: due volte Lucca, Gavorrano, Siena e Castellammare».

Alla Juve Stabia la prima esperienza al Sud, subito vincente.
«Stavo parlando con una squadra del Nord, quando mi è arrivata la proposta della Juve Stabia mi sono fiondato. Volevo fare l'esperienza di allenare al Sud, con ambienti caldi, stadi pieni, tifo che spinge, partite lottate fino all'ultimo, vedi la nostra col Monterosi (2-0 fino al recupero, poi 2-2, ndr). E ho avuto ragione: quest'anno il rapporto con i tifosi è stato il valore aggiunto».

La foto della stagione è la corsa della squadra, dopo la vittoria col Taranto a porte chiuse, davanti allo stadio Menti per far festa con il tifo.
«Vero. Un rapporto così viscerale che nello spogliatoio abbiamo appeso la foto della squadra sotto la curva Sud».

Oltre alle frasi motivazionali che si dice lei affigga alle pareti dello spogliatoio.
«In una stagione i momenti sono tanti. A volte serve riconoscersi in una frase, in uno slogan. In una verità, in cose reali che sentiamo e viviamo».

Due campionati vinti in D, due playoff raggiunti (di cui uno tolto con la penalizzazione al Siena) in C: pensava di meritare prima la serie cadetta?
«Credo che sia giusto così, fa parte di un percorso di crescita graduale, del quale ringrazio tutti i giocatori e tutti i club con cui ho lavorato».

Dopo Benevento ha parlato di una carriera rallentata dal suo carattere. In che senso?
«Sono diretto, ma molto riservato e umile. Mi espongo poco».

Ma è anche piuttosto fumantino: quest'anno dieci giornate di squalifica e il caso Erradi, il suo calciatore al quale ha rifilato uno scappellotto.
«Quello è il mio difetto, il troppo trasporto. A volte non ho la giusta distanza tra la partita e quello che dovrebbe essere».

E la dote?
«L'onestà. E la semplicità».

Una cavalcata solitaria in testa: ma dopo la sconfitta a Foggia, con il Benevento che si era rifatto sotto, è affiorato qualche fantasma?
«Ci siamo parlati, dicendoci che sarebbe stato assurdo perdere la B dopo essere stati in testa dalla prima giornata. Siamo stati bravi a reagire con due vittorie di fila. Un giusto premio a un gruppo dai valori morali e tecnici enormi».

Lei a fine partita ha voluto ringraziare il suo staff e tutta la società.
«Il club ci è stato sempre vicino, con la presenza fisica e mentalmente. Non ci hanno mai fatto mancare nulla, nel vero senso della parola».

In una rosa di 28 elementi quelli impiegati sono stati 16-17. Da tutti gli altri neanche una polemica, anzi alla fine l'hanno portata in trionfo.
«È il vero rammarico di quest'anno: non aver potuto far esprimere tutta la rosa a pieno per il suo valore. Spero nelle prossime tre partite e nella Supercoppa di C di dare una possibilità a tutti. Si meritano il meglio, li ringrazio tutti a braccia larghe».

La serie B è anche un riscatto per Castellammare, ancora oggi amministrata da un commissario dopo lo scioglimento del Comune per infiltrazioni camorristiche. Lei quanto ha avvertito la spinta della città?
«Dopo ogni partita erano tutti a starci vicino, a caricarci di entusiasmo. Per noi è stata una spinta enorme. Il calcio è fatto di questo. Di divertimento e costanza in allenamento, di valori forti e grande ambizione, senso di responsabilità per chi ha un posto di lavoro e per la maglia che si indossa».

Il tutto in una stagione che alla vigilia vi vedeva lottare per la salvezza.
«Con la rosa più giovane del girone. Ma a Castellammare siamo tutti cresciuti, partita dopo partita. Come professionisti e come persone».

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