Napoli, la notte scudetto: basta un solo punto a Udine

La Lazio vince contro il Sassuolo, adesso tocca agli azzurri

La festa del Napoli al gol di Raspadori
La festa del Napoli al gol di Raspadori
Giuseppe Taorminadi ​Pino Taormina
Mercoledì 3 Maggio 2023, 23:53 - Ultimo agg. 4 Maggio, 18:25
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Lo scudetto può attendere. Prepararsi al decollo: tre, due, uno... Il Friuli come Cape Canaveral, il Napoli come lo Shuttle, pronto a volare verso lo spazio infinito. Non è certo una scocciatura aspettare qualche altra ora qui nel clima fresco del Friuli: basta un punto solo stasera contro l’Udinese. Ma il punto può arrivare anche nelle prossime cinque partite e, voilà, è fatta. E se proprio vogliamo esagerare, anche domenica con la Fiorentina. Non è uno scudetto vinto in albergo, forse è meglio così. Che importa: non è una fitta al cuore la vittoria della Lazio contro il Sassuolo, anzi era attesa e pronosticata da tutti non certo per scaramanzia. Sarri doveva vincere perché la faccenda Champions è diventata un bel guazzabuglio, e poi questo non è un mondo dove si fanno dei favori perché ognuno pensa solo a se stesso. Il Napoli è arrivato ieri sera a Udine, alloggia al Là di Moret, l’hotel dove abitò per un mese Zico quando il Galinho planò come un ufo in Italia e sconvolse Udine, il Friuli. La squadra vede quasi tutto il primo tempo della gara con la Lazio sui tablet, durante il trasferimento dall’aeroporto. Il volo è in ritardo e slitta tutto, anche la cena. 

Lo scudo con i tre colori può arrivare stasera e Spalletti non vuole altri rinvii. È categorico, non vuole rilassamenti. Lui sa che nulla al mondo può togliere lo scudetto al Napoli (anche perché il calendario della Lazio è molto complesso e sabato c’è già il Milan) e pure se smettesse - un paradosso - di fare punti l’impressione è che sarebbe irraggiungibile: la smisurata tirannide di questa stagione chissà quanto ripetibile, attende di vivere il suo capitolo inedito, quello che consacrerà il Napoli campione d’Italia. La data da consegnare alla storia. Come il 10 maggio 1987 e il 29 aprile 1990. Con cinico spregio del titolo comunque in freezer, basterà una botta di microonde e via, tutto è fatto. A Udine c’è aria e voglia di festa, ma sia chiaro non sono facce di chi non vede l’ora di levarsi un fastidio: anzi, sarà come far festa per giorni e giorni. De Laurentiis è rimasto a Napoli, stasera sarà al Maradona a godersi la notte annunciata come quella del trionfo. 

Il Napoli non è alla portata di nessuno, è un respiro fuori dal mondo. E allora ora spunta un altro match point sul campo dell’Udinese. Il Napoli ha tutto nelle proprie mani, come tutto il resto: senza offesa per gli altri ma se non è ancora arrivata l’ora X è stato solo per demerito degli azzurri che da un certo momento in poi hanno iniziato a sbadigliare. Il Napoli ha cominciato a non vincere il suo scudetto numero 3 con il pari interno con il Verona, poi ha buttato al vento altri due punti con la Salernitana. La grande spremuta emotiva nel giorno del quasi scudetto ha comunque lasciato il segno: ma adesso non c’è il peso di dover vincere a ogni costo, basta un punticino in casa dell’Udinese di Sottil. Allegri, intanto, con sarcasmo pieno zeppo di veleno replica allo «scudetto degli onesti» di De Laurentiis: «Faccio i complimenti agli azzurri perché hanno vinto meritatamente, ma do un consiglio a De Laurentiis: gli dico di godersi questo scudetto perché è il primo. Anche io non scorderò mai i primi trionfi al Milan e alla Juve». 

Spalletti avevo candidamente avvertito la squadra che non doveva aspettarsi nulla da questo mercoledì. Nessuno scudetto in poltrona aveva anticipato neppure fosse la Sibilla Cumana proprio prima di mettersi davanti alla tv e guardare il secondo tempo. Uomo di mondo, il tecnico azzurro, l’architetto che ha disegnato la nuova casa a meraviglia. Cosa farà è difficile da prevedere, il che lascia pensare che possa anche decidere di dire addio dopo lo scudetto. Ma è anche il caso di pensare a questo ciclo vincente che continua con lo scudetto e che vede nella rosa tanti uomini importanti, quasi tutti formidabili e d’acciaio, con tante offerte di mercato e non di poco conto. Il Napoli dovrà sfidare il Napoli. Il dilemma di Spalletti non è solo valido per lui. Sarà un problema di testa, di nervi, di fame. 

 

Non è un Napoli triste. La malinconia c’è stata domenica dopo l’improvvido pari subito da Dia ma ora tutto è tornato nei binari giusti, quella dell’allegria che è determinata da una classifica dopo la supremazia è sterminata: nel ritiro dell’hotel scherzano tutti, è davvero l’attesa del momento magico per poter far festa. Però molti azzurri avevano le lacrime agli occhi qualche giorno fa, come tanti tifosi lungo la strada di ritorno dal Maradona. Scene incomprensibili, a dire il vero. Inspiegabili. Visto che nulla potrà mandare all’aria quello che Spalletti ha costruito pezzo dopo pezzo, giornata dopo giornata. De Laurentiis e Di Lorenzo, lunedì, non hanno parlato di premi scudetto. C’è tempo per farlo, il patron ha promesso che farà un regalo alla fine della stagione. 

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Con una dittatura il Napoli ha spezzato l’altra dittatura di Milano e Torino che durava dal 2001. Era ora, tutta Italia dovrebbe essere contenta per questa catena spezzata, e invece è un susseguirsi di minacce, avvertimenti e sciocchezze di questo tipo a non festeggiare. È uno scudetto che sta per arrivare da razza padrona, per una squadra e per dei giocatori che non sono mai stati abituati a comandare. Solo Lobotka ha vinto un titolo, quello slovacco.

Poi nessun altro ha mai conquistato un campionato, prima di adesso. Un trionfo, uno scudetto mai incerto. Il massimo che le agenzia di scommesse sono riusciti a mettere in ballo è stata la giornata in cui il Napoli avrebbe conquistato lo scudetto. Spalletti ha atteso dal 1994 questo momento, anche lui non si trattiene. Perché dovrebbe? E il gigantone Osimhen si è divertito già ieri sera, nonostante le notizie dell’Olimpico, a fare il rapper americano e con una radio girava con la colonna sonora a palla “We are the champions”. Per tutti è una vigilia inedita: solo Di Lorenzo, Meret e Politano (che è qui con Mario Rui nonostante l’infortunio) sanno cosa significa aspettare la felicità: loro hanno giocato la finale di Wembley con l’Italia e l’hanno vinta. Questa attesa è diversa assai, sia chiaro. Lo spumante era in frigo, ben nascosto. Lo avevano portato quelli dello staff, di nascosto a Spalletti. La felicità è in ogni gesto. È una meraviglia. È lo scudetto dei bambini prodigi: di Meret e dell’idolo è Kvara, scappato dalla guerra esplosa in Russia, dalle tensione internazionali per il conflitto in Ucraina. È lo scudetto di Kim che era arrivato come l’erede di Koulibaly, roba da far tremare il sangue nelle vene. È il Napoli di Zielinski, che dopo il gol di Raspadori alla Juventus, si è steso a terra senza gioire per la rete come se fosse stata una liberazione. Trentatré anni dopo. Questo titolo è della società, del Napoli delle poche stelle e dei tanti gregari. Lo scudetto di “quei bravi ragazzi” per dirla alla Giuntoli. E stasera c’è ancora una chiamata alle armi. Non l’ultima. Forse non serve neanche. 

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