Fratelli tornano dal Billionaire con il Covid, la mamma: «Il più grave lasciato per giorni senza cure»

Il Billionaire
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di Egle Priolo
Lunedì 31 Agosto 2020, 07:38 - Ultimo agg. 08:50
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È arrabbiata mamma Sara. Il nome è di fantasia, ma l'odissea che sta vivendo la sua famiglia da quasi dieci giorni è tutta vera. Con tre ragazzi malati di Covid in casa e uno, il più giovane, «che sta male e non ce lo hanno fatto ricoverare: abbiamo aspettato due giorni per una visita nonostante avessimo avvisato 118, Asl e Distretto che aveva la febbre e la tosse che non lo faceva respirare. Una vergogna».

La storia arriva da Passaggio di Bettona (Perugia): Sara ha due figli che insieme alle due fidanzate e altri amici sono stati in vacanza in Sardegna. Un gruppo di sette ragazzi che sono stati sempre insieme «e sempre attenti a usare mascherine e tutte le precauzioni possibili». Così scrupolosi che già dal traghetto hanno avvisato le famiglie: «Siamo stati in posti dove hanno scoperto focolai, appena torniamo ci mettiamo in autoisolamento per non far rischiare nessuno». I ragazzi, infatti, da Porto Cervo alla serata di Ferragosto al Billionarie (non sarebbero comunque stati infettati lì, dicono, visto che altri due amici con loro quel giorno sono risultati negativi), hanno beccato tutti i luoghi dove poi si è avuta un'impennata dei contagi.

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Da qui la diligente decisione di restare isolati. «Una scelta talmente responsabile di cui va dato loro atto: sarebbero potuti tornare alle loro vite e al loro lavoro e infettare chiunque», sottolinea mamma Sara. Perché, tornati venerdì 21 agosto, si sono chiusi tutti in casa: i due fratelli con una delle fidanzate nella casa di famiglia e gli altri nelle rispettive abitazioni. Senza incontrare nessuno: le famiglie erano state allertate, dispensa piena e porte chiuse. Chiamano immediatamente il numero verde: il primo appuntamento per il tampone è il mercoledì successivo. Troppo tardi per stare con la paura e il giorno dopo si presentano all'Asl di piazzale Europa, dove fanno i controlli in auto. I risultati arrivano domenica: 4 su 7 sono positivi.

Tra loro c'è il figlio più piccolo di Sara, 23 anni, sano e senza alcuna patologia pregressa, i suoi sintomi, però, si fanno subito preoccupanti: febbre, tosse continua, difficoltà a respirare e domenica stessa collassa. Per fortuna il fratello e la fidanzata lo fanno riprendere, avvisano i genitori – residenti in sicurezza in un appartamento separato – e iniziano a chiedere aiuto. «Chiamiamo il 118, che ci dice di chiamare la guardia medica, che ci dice di richiamare il 118 – spiega Sara -. “Se veniamo lo ricoveriamo e chissà quando lo vedrete, poi in un reparto Covid magari si ammala di più”, hanno risposto. Senza parole, abbiamo chiamato il nostro medico che ha attivato l'Usca (l'Unità speciale di continuità assistenziale, ndr) e solo il lunedì sera è arrivata la dottoressa a visitarlo. È stata molto gentile, ma giovedì – quindi tre giorni dopo – l'abbiamo dovuta richiamare perché stava sempre peggio.

“Ha i polmoni affaticati”, ha detto. E ci ha dato finalmente l'antibiotico. Ma lui si affogava dalla tosse, non riusciva ad alzarsi: è rimasto così tanto a letto da venirgli le piaghe. E in tutti questi giorni, neanche una telefonata dalla Asl per sapere come stesse. Ci hanno lasciato soli, senza sapere cosa fare e come comportarci. Solo il farmacista ci ha aiutato davvero, spiegandoci anche di tenere sotto controllo la saturazione del sangue: l'unico ad avercelo detto e ad essersi interessato del decorso della malattia. Eppure questi ragazzi avrebbero diritto solo a complimenti per come si sono comportati». «Il colmo – prosegue Sara -? Quando venerdì hanno dovuto rifare i tamponi, dalla Asl ci hanno detto di metterli tutti in auto e di mandarli a prendere la quarta amica positiva: mio figlio sempre con la febbre alta e la tosse. Se avessero avuto un incidente non sarebbero potuti scendere neanche dalla macchina». I tamponi sono ancora positivi ma il 23enne da ieri, dopo la terapia antibiotica, almeno tossisce meno. «La sanità così è una Babilonia – chiude Sara -. E se mio figlio avesse continuato ad aggravarsi, altro che rifiuto al ricovero, lo avrei portato io in ospedale. Ma con i carabinieri». 

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