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Un metodo per eliminare gli avversari, una strategia precisa diventata un avvertimento ai clan “nemici”: non solo vi facciamo fuori, ma facciamo anche scomparire i vostri cadaveri. Sono le morti per “lupara bianca”, un’altra caratteristica delle guerre tra gruppi della camorra. Soprattutto nell’area a nord di Napoli. Tra San Giuseppe Vesuuviano, Afragola, Giugliano fino ad arrivare al quartiere napoletano di Scampia gli episodi più noti di questa strategia omicida.
Una tecnica sicura: rapire il bersaglio, magari attirandolo a un appuntamento con una scusa, torturarlo, ucciderlo e farne scomparire in qualche modo il cadavere. Ferocia pura, da scavalcare qualsiasi sceneggiatura cinematografica.
“Paparella”
Si chiamava Michele Di Biase, era soprannominato “Paparella” ed era un esponente di rilievo dello storico clan giuglianese dei Mallardo. Lo fecero scomparire il 2 ottobre 2015, giorno del suo cinquantasettesimo compleanno. Un avvertimento al figlio Nello che, con Silvano Ciccarelli, scalpitava per scalare posizioni di guida nel clan. “L’abbiamo avvisato” fu la frase registrata in un’intercettazione. Non contenti di aver fatto scomparire il padre, i killer tentarono di uccidere per due volte Nello Di Biase. Prima nel clan D’Alterio, poi con il capoclan Feliciano Mallardo, Michele Di Biase aveva deciso di aprire una sua piazza di spaccio. Decisione fatale, in un’area di gestione mafiosa-camorristica da tempo controllata dai Mallardo, alleati dei Contini e dei Licciardi di Napoli. “Paparella” viene attirato con la scusa di un chiarimento nel quartiere Vasto di Napoli, controllato dal clan Contini alleati stretti dei Mallardo. Ha una passione per il gioco d’azzardo e gli dicono che sarebbero andati in una bisca clandestina della zona. Viene ritrovata solo la sua auto, con un cappellino bucato da un proiettile, sangue e materia cerebrale. Nulla del suo corpo, ma in un’intercettazione viene detto che era stato “deciso di scioglierlo nell’acido per farlo scomparire per sempre”. E il pentito Giuliano Pirozzi raccontò: «Paparella era pronto con un gruppo di fuoco a scatenare una guerra di camorra contro i Selcione».
Il 5 febbraio del 2017, di “lupara bianca” si parla ad Afragola. Scompaiono il 43enne Luigi Ferrara di Casoria e il 53enne Luigi Rusciano di Mugnano. Due ras del rinato contrabbando nella zona del rione Salicelle. E proprio da quel rione erano partiti in auto nel pomeriggio del 31 gennaio. Poi più nulla. La macabra scoperta arrivò qualche giorno dopo, roba da film pulp. I due cadaveri vennero ritrovati dopo un paio di settimane. Il corpo segato a metà all’altezza del bacino, forse quando erano ancora vivi, poi infilati in quattro buste di plastica nere. Infine, la sepoltura a un metro vicino una mimosa in fiore per coprire la puzza di putrefazione. Il ritrovamento arrivò attraverso una soffiata. Un’altra punizione per chi aveva osato troppo negli affari criminali, senza il permesso dei boss di quell’area.
Il Vesuviano
Una tecnica scientifica, la “lupara bianca” nell’area vesuviana. Quattro donne vestite a lutto, quasi certe della fine dei loro uomini scomparsi. Tra San Giuseppe Vesuviano, Somma, Terzigno, il distretto del tessile con centomila italiani e ventimila cinesi, il rituale fu ripetuto dal 2004 al 2005. L’inizio delle scomparse fu il 18 ottobre 2004, per arrivare all’aprile del 2005. Furono portati fuori dalle loro case, di pomeriggio, il 45enne Giulio Savino con precedenti per droga, soprannominato “Facciappicciata” per una macchia viola sul volto, con Antonio Iossa e il suo nipote omonimo di Sant’Anastasia. Iossa aveva precedenti per armi, il nipote era incensurato. La scena sempre la stessa: una telefonata, l’uscita di casa tranquilli senza sospettare nulla. E gli scomparsi nell’area vesuviana arrivarono a sette. Una faida nel territorio una volta controllato dal boss Mario Fabbrocino, in quei giorni tornato dall’Argentina.
Il 28 ottobre 2004, era sparito Gaetano Del Giudice, 26 anni, ex titolare del ristorante “L’Incanto”, che gli inquirenti sospettarono fosse vittima di una ritorsione per non aver pagato una partita di cocaina. Poi il ventinovenne venditore ambulante Antonio Vorraro, il benzinaio trentanovenne Ciro Cozzolino e il sessantenne Luigi Antonio Bonavita, detto “il parigino”. Vennero ritrovate solo le loro auto dinanzi la stazione della Circumvesuviana di Sant’Anastasia. Di tutti, il più noto era Bonavita, un passato da magliaro legato a Fabbrocino di cui era diventato autista. Nel 1998, era finito nell’inchiesta sul clan Fabbrocino della Dda napoletana. Donne vestite a lutto, mentre gli amici di Antonio Iossa e del figlio smentivano che fossero morti. Ma furono giorni di terrore, da regolamento di conti e avvisi a qualsiasi ricostituzione del clan Fabbrocino smantellato dalle inchieste della Dda di qualche anno prima.
Scampia
Durò poco il mistero sulla scomparsa del 45enne Davide Tarantino di Melito. Il suo corpo tu trovato il 20 settembre 2018. Uno dei responsabili di una piazza di spaccio nell’area nord di Napoli. Trovarono il corpo sotterrato in un campo incolto, sotto un mucchio di rifiuti, nella campagna tra Melito e Giugliano. L’indicazione agli inquirenti arrivò da un pentito.
Uno degli ultimi episodi della guerra interna al clan Amato-Pagano, gli scissionisti di Scampia radicati a Melito, nata per la gestione delle piazze di spaccio nell’area del quartiere 219. Agli inizi del 2016, la doppia lupara bianca: scompaiono Davide Tarantino e il suo inseparabile amico Antonio Ruggiero. Due giorni dopo, venne ritrovata la loro auto, una Panda blu, chiusa a chiave, vicino lo stadio dei remi al Lago Patria. Poi il ritrovamento del cadavere di Tarantino, ma non quello del suo amico. E la guerra fece poi altri morti, stavolta in agguati. La “lupara bianca” era riservata, in segno di disprezzo, a chi non meritava rispetto e si era macchiato di “sgarri” più grossi. Le violente leggi della camorra.
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