CrimiNapoli /7, Barracano e quei guappi-camorristi della Sanità che ispirarono Eduardo

CrimiNapoli /7, Barracano e quei guappi-camorristi della Sanità che ispirarono Eduardo
di Gigi Di Fiore
Venerdì 26 Novembre 2021, 11:35 - Ultimo agg. 27 Novembre, 08:01
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Don Antonio Barracano si chiama il protagonista del “Sindaco del rione Sanità”, la famosa commedia di Eduardo De Filippo del 1960, attualizzata ai nostri giorni, nel suo adattamento cinematografico, da Mario Martone nel 2019. Un personaggio metà guappo, metà camorrista che nel suo quartiere si sostituisce allo Stato. Ricompone contrasti, riceve gente, applica le sue decisioni anche con la violenza. In quella sua opera, Eduardo affrontò il tema della camorra e della presenza criminale nei quartieri-Stato di Napoli. E attinse alla realtà: 61 anni fa non era un’invenzione il personaggio principale della commedia, né lo erano le sue caratteristiche. Barracano è esistito davvero e aveva riempito le cronache giornalistiche negli anni della gioventù del commediografo figlio di Eduardo Scarpetta, durante il Ventennio fascista.

Non si chiamava Antonio, ma Giuseppe il Barracano vero e portava proprio questo cognome.

Originario del quartiere orientale di San Giovanni a Teduccio, aveva iniziato presto la sua carriera criminale ferendo da adolescente un coetaneo, colpevole di barare nel gioco delle carte. Il salto di qualità criminale lo maturò prima in riformatorio, poi nel carcere di Poggioreale dove si conquistò i gradi di “uomo di rispetto”. E divenne il protettore violento di molti commissionari del commercio del pesce nel mercato ittico. I contrasti con i gruppi delinquenziali impegnati nella sua stessa attività illecita furono inevitabili. Barracano non si tirava indietro e per l’intraprendenza dimostrata con i suoi rivali fu accolto nella camorra organizzata del quartiere Mercato. Lo inserì Alberto Fraumene, capintrito di quella zona, che qualche anno prima era stato coinvolto nelle indagini sul delitto Cuocolo-Cutinelli uscendone indenne. Crebbe la considerazione di Barracano, che si trasformò in riferimento violento anche per gli operai del porto.

 

Il principale rivale di Barracano era Michele Aria. E anche qui i riferimenti reali della commedia eduardiana si fanno espliciti. Aria veniva soprannominato ‘o capraro e il personaggio del “Sindaco del rione Sanità” racconta di un ricorrente suo incubo notturno, incarnato da una lite sanguinosa contro ‘o capraro. Gli intrecci con spunti presi dalla cronaca reale di allora si moltiplicano nella commedia. Come la sfida tra Giuseppe Barracano e Michele Aria, che non ebbe conseguenze mortali solo per l’intervento di Alberto Fraumene. Fu lui a fare da paciere insieme con un altro camorrista dell’epoca, Giovanni Bartilozzi, pure coinvolto in precedenza nelle indagini del capitano dei carabinieri Carlo Fabroni.

Ma c’è ancora un’altra circostanza travasata nella commedia e presa dalla realtà, che sicuramente Eduardo aveva ben conosciuto dalla lettura dei giornali. Il sindaco del rione Sanità amava fare colazione con il pane bagnato nel latte, la mania di Michele Aria era invece prendere al mattino acqua di Telese con pane e uva. Basso e tarchiato con mani forti, quando si affermò nella camorra napoletana, sostenendo scontri a fuoco sanguinari, Michele Aria aveva 38 anni e guadagnava soprattutto con l’usura e lo sfruttamento di prostitute. Così lo descriveva “Il Mattino” nel 1923: “La fantasia popolare aveva creato in Michele Aria un tipo caratteristico di delinquente, una specie di eroe il cui braccio e la cui parola inceneriva come per incanto ogni ostacolo; non è così: Michele Aria era il più volgare dei delinquenti comuni; superstizioso e vanitoso, cinico e crudele, ipocrita e spavaldo”.

Giuseppe Barracano e Michele Aria si ritrovarono negli Stati Uniti, dove molti dei camorristi del Ventennio preferirono trasferirsi per proseguire le loro attività illegali fuggendo dalle indagini e le repressioni degli inquirenti a Napoli. Nel regno dell’organizzazione criminale della mafia americana, chiamata “Mano nera”, i napoletani si scontrarono con i siciliani. Il capraio venne festeggiato dagli amici e prese in affitto un appartamento lussuoso a Nortch Seven numero 290 a New York, dove inizio a mostrare subito le sue ambizioni di capo, senza però possedere la forza e gli uomini necessari per contrastare i più potenti siciliani. Per evitare guai con la polizia, cambiò il suo nome con quello del signore Vincenzo Correra.

I numeri tristi della violenza di quel periodo in terra americana parlavano chiaro: 50 gli omicidi compiuti in pochi mesi dai siciliani contro 30 dei napoletani. Michele Aria vietò ai siciliani di chiedere il pizzo agli emigranti napoletani e lo scontro si accese ancora di più. Soprattutto quando ‘o capraro pretese una quota sui profitti raccolti dai siciliani nei prestiti a usura sui connazionali. La premessa della brutta fine fu lo schiaffo che, in pubblico, Michele Aria tirò a uno dei capi dei siciliani, Antonio Riccio. Fu massacrato con decine di pugnalate alla testa, sulle braccia a sul collo, che due uomini del gruppo dei siciliani gli sferrarono senza pietà. Fu salvato dai suoi uomini e portato in ospedale, rimase paralizzato in un busto d’acciaio e morì poco dopo. Alla guida dei napoletani ne prese il posto il suo rivale di un tempo a Napoli: Giuseppe Barracano. Anche lui fece una brutta fine. L’agguato che lo tolse di mezzo somigliò a una scena da film. I siciliani lo invitarono a un incontro pacificatore in un albergo. Ci fu un pranzo e Barracano giocò d’anticipo, sospettando che lo avessero attirato in una trappola: all’arrivo del dolce, fece volare una sedia su un grosso lampadario cercando poi di fuggire. Mentre cercava di scappare, il siciliano Francesco Jasevoli gli sparò alle spalle, ammazzandolo all’istante. Così finirono i due camorristi che ispirarono la commedia di Eduardo.

Ma c’era anche un terzo uomo, che diede materiale prezioso al commediografo napoletano, raccontandogli dettagli da scrivere e vicende personali. Si chiamava Luigi Campoluongo e così ne parlò Eduardo nelle parole riportate dal suo biografo Maurizio Giammusso: “Il modello del mio Antonio Barracano si chiamava Campoluongo. Teneva il quartiere in ordine. Venivano da lui a chiedere pareri su come dovevano comporre le vertenze. E lui andava. Una volta ebbe una lite con Martino ’o capraro e questi gli mangiò il naso. I Campoluongo non facevano la camorra, vivevano del loro mestiere, erano mobilieri”. Ricordi di gioventù e realtà documentata si mischiano nelle parole di Eduardo. Campoluongo era un mobiliere di via Vergini, tutti gli portavano rispetto in un quartiere difficile come anche allora era la Sanità. La figlia sposò un medico e lui fu un benefattore della festa del Monacone nel suo quartiere, quella dedicata a san Vincenzo Ferrero, che finanziò diventandone uno dei principali organizzatori. Dopo una lite, il violento Michele Aria gli strappò il naso con un morso.

Eduardo leggeva i giornali e aveva ascoltato i racconti di Campoluongo, tanto che Giammusso scrive sul “Sindaco del rione Sanità: «La commedia affonda le radici nelle realtà, ma poi si sgancia da essa per dare una precisa indicazione sulla giustizia». Cronaca, giornali, studi sono ispiratori di trasfigurazioni artistiche. Anche sulla triste e violenta piaga della camorra. E anche per il grande Eduardo.

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