L’uovo di Napoli e la profezia sognata

In una città sospesa, in un’atmosfera lattiginosa, in piazza San Domenico una presenza misteriosa: un dono del cielo o un cavallo di Troia?

Piazza del Gesù
Piazza del Gesù
di Giuseppe Montesano
Domenica 31 Marzo 2024, 08:00 - Ultimo agg. 21:02
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Scendo le scale, anche se è tardi immagino la solita folla, ma ho proprio bisogno di prendere un po’ d’aria, non fa niente, e premo il pulsante del portoncino. Esito sulla soglia, mi preparo con un sospiro a cavarmela in mezzo all’andirivieni e agli spintoni della folla, e sono in strada. Ma dopo pochi passi ho come uno smarrimento, un capogiro. Una specie di fumo umidiccio grava sulla strada, isola le luci e sfuma i contorni delle facciate. Sarà la foschia per lo sbalzo di temperatura tra il giorno e la notte che viene, penso, e rallento il passo. In realtà cammino un po’ a memoria, perché ho l’impressione di non trovare più i miei punti di riferimento. Ma i passi mi guidano a scendere verso il basso, o questa è la sensazione, e ora sono già a metà di via Costantinopoli, o almeno così mi sembra, e allungo il passo, le luci sono poche, ora c’è via san Sebastiano, sento che scende più ripida, riconosco così la calata, all’incrocio esito un momento e poi svolto a sinistra, ho pensato di guardare se c’era ancora piazza del Gesù ma poi mi è sembrato assurdo un pensiero.

Gay-Odin è chiuso

Che diavolo, sto diventando fiacco! Mi sento già stanco, con l’affanno. Mi fermo e mi guardo attorno, Gay-Odin è chiuso, passano due ombre umane che filano rasente il muro, guardano avanti, non mi vedono o fanno finta, sono di colpo ingoiate dalla lattigine. Mi muovo, non so bene cosa pensare, forse avrei dovuto sentire le notizie di oggi. Sarà successo qualcosa al clima? Passano un uomo e una donna, scorgo i capelli biondi, o fulvi, lei ha un impermeabile, ma già è sparita nella foschia. Francese? Le labbra erano molto rosse sull’impermeabile bianco.

Non capisco, sembra tutto chiuso, nessuna caffetteria, nessun bar aperto, nessuno spuntino della notte, e le luci mi sembrano molte meno, come se i lampioni fossero rotti, o spenti, e le vetrine sembrano pozzi. Faccio ancora qualche passo, lento, e lo vedo. A dire la verità arriva prima la sensazione di una presenza, di qualcosa che riempie lo spazio di piazza San Domenico, poi nella foschia intravedo la forma che incombe.

Mi tolgo dalla strada, entro nella piazza e sollevo la testa verso l’alto fino a sentire la cervicale che mi dà ancora fastidio, anche dopo la terapia. Mi chiedo che cosa sia quello ma lo so, so che lo so. Sembra un uovo. Quanto sarà alto? Non decifro bene le proporzioni, anche perché l’aria lattiginosa lo copre verso l’alto, ma sì, è un uovo gigantesco posato sul selciato della piazza e il cui culmine si perde altissimo.

Ci giro intorno lentamente, è enorme, e della piazza resta davvero poco, l’uovo la occupa quasi tutta. A un tratto scorgo il mio amico Francesco, mi ha visto, alza le braccia, viene a salutarmi, gli chiedo «Francesco, ma tu l’avevi visto? Sembra l’uovo di...», lui ride, è con due bellissime ragazze che restano un po’ indietro, dice «Ma no, non è niente...», «Ma ieri c’era?». «Certo! È qui da...» le ragazze gli fanno un cenno, «Devo andare, ci vediamo» e svanisce nella foschia dicendo «Pienz’ a stà bbuon’, è solo un...» ma non capisco, la lattigine si ingoia la voce, mi arriva una risata femminile, lontana.

Provo ad avvicinarmi, non ci sono protezioni, e guardo da vicino la superficie dell’uovo. Sembra metallo, ma non so. Sto per farmi coraggio e colpire la superficie che ora mi sembra dorata ora argentea, e penso che mi risponderà un suono sordo. «Ehi! Ma che ci fai qui?», la voce mi fa sobbalzare, è Anna, sembra più alta, non la vedo da mesi, mi bacia calorosamente, «Devo andare, scusami» strizza l’occhio e accenna alla donna di colore, splendida, con una treccia che si attorciglia sulla testa e che ci guarda silenziosa, ho il tempo di dire a Anna «Ma tu sai che cosa è questo...», «Sarà una pubblicità per le feste, è Pasqua, ciao...» e anche loro si inabissano nella foschia. 

Mille culure 

Di che cosa sarà fatto, l’uovo? Dorato, argenteo, lunare, solare, ora mi sembra nero, buio nel bianco, mi porto una mano sugli occhi, e mi arriva una voce, «Che stai facendo a quest’ora? Ah, l’uovo di Napoli...», finalmente qualcuno che lo chiama col suo nome, ecco, solo Jusepe sa queste cose, tutti i misteri della città, è straniero ma ormai è più napoletano di me, gli chiedo di spiegarmi, ma mi fa un cenno come per dire aspetta un attimo, si gira a parlare al cellulare, sottovoce, ride piano, poi dice che deve andare, «Comunque nun te preoccupà, le cose sono semplici...», si abbassa verso di me confidente, sussurra qualcosa, ma sussurra fitto, veloce, e non sento bene, forse dice «profezia», forse «fuggire» o «godere», sono confuso, ci abbracciamo, deve andare, e svanisce nel bianco. Costeggiando l’uovo vado a sedermi dall’altra parte, sugli scalini di piperno, penso che non ho fatto caso se Scaturchio è aperto, ho fame, mangerei volentieri un dolce, ma non ho voglia di muovermi.

Guardo l’uovo, da qui incombe ancora di più, mi fissa come un grande occhio. E a un tratto mi viene in mente che potrebbe essere un dono, che il grande uovo ci darà giorni di meraviglie in cui danzare felici e vivere come se la giovinezza fosse eterna... Ma subito penso che l’uovo può essere come il grande cavallo di legno che i greci lasciarono fuori le mura di Troia, solo che una volta rotto non usciranno gli assassini Achei ma esseri impossibili da riconoscere, fatti di altre dimensioni, di altri mondi... O forse nell’uovo c’è semplicemente un nuovo dio, e lui o lei ci prenderà alle spalle?... Ma no, che sciocchezze vado a pensare! L’uovo sta là senza nemmeno un custode, così enorme e bizzarro, e nessuno lo ha imbrattato ancora con le bombolette spray. Che stranezza! Tento di sorridere immaginando i «w questo» e «w quello» e «giusy ama ciro» e la «4b è stata qui», ma non ci riesco. E se fosse l’uovo magico della città? Quello vero, quello che nessuno riconosce proprio perché è vero e la sua apparizione è un segno? E Jusepe ha detto davvero «profezia» o avrò capito male?

No, basta, mi devo alzare e avvicinarmi, ho capito, qualsiasi cosa sia la devo abbracciare come ho sempre abbracciato questa città, tutta intera dalle fogne all’azzurro, mi alzo di scatto, mi gira un po’ la testa, mi avvicino all’uovo, allargo le braccia per stringerlo e...

Cos’è questa cosa, è morbida... Ma è... Sembra un... È il mio cuscino!... Mi sono addormentato… Sul televisore è bloccata l’immagine della serie «Il problema dei tre corpi»... Allora ho sognato, era un sogno! Oggi è Pasqua, la città è strapiena di turisti, si ride, si mangia, ci saranno la bella pastiera e il casatiello, non c’è nessuna profezia. O non ho capito? Per un attimo immagino di affacciarmi, per vedere se la foschia bianca è svanita, se c’è la notte di primavera che ci dev’essere, ma poi penso: non è meglio se dormo? È tardi, troppo tardi, e io sono stanco. Dopo si vedrà. Dopo, dopo, dopo. 

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