Clochard ucciso a Pomigliano d'Arco: «Frederick attirato in trappola da finti amici e massacrato»

Il clochard colpito al volto con inaudita violenza

La fiaccolata per Frederick Akwasi Adofo
La fiaccolata per Frederick Akwasi Adofo
Leandro Del Gaudiodi Leandro Del Gaudio
Venerdì 23 Giugno 2023, 07:00 - Ultimo agg. 17:22
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Non è solo una questione di violenza bestiale, gratuita e immotivata. No, c'è dell'altro in questa storia. C'è l'inganno. Un atteggiamento subdolo, una sorta di trappola ordita come in un piano prestabilito. Un inganno nel quale un extracomunitario senza fissa dimora, parliamo di Frederick Akwasi Adofo, è caduto senza poter immaginare cosa stesse accadendo. Già, perché - a seguire la ricostruzione della Procura per i minori - c'è un punto che aggiunge sconcerto alla terribile fine riseravata al clochard ghanese per mano (è l'ipotesi) di due sedicenni: i due banditi hanno attratto Frederick con la scusa di offrirgli il cinque, di salutarlo con un gesto di amicizia e di simpatia, al quale l'uomo non si è sottratto. La scena è chiara, agli occhi degli investigatori. Ed è uno dei punti su cui fa leva il provvedimento di fermo che tiene in cella gli indagati che, a partire dalle prime ore di questa mattina, sono attesi dinanzi al giudice del Tribunale dei Colli Aminei per la convalida dell'arresto. Un batti-cinque, dunque, che ha smosso una persona mite e benvoluta da tutti, che - con il sorriso sulle labbra - ha lasciato il giaciglio nei pressi della panchina su cui trascorreva la propria notte. Si è rivolto a quei ragazzi che gli tendevano il palmo della mano, gesto convenzionale di amicizia in tutto il mondo, magari convinto di dover ricambiare con il proprio sorriso l'amicizia spicciola ed estemporanea che gli veniva offerta sul marciapiede. 

È uno dei punti inquietanti di questa storia, a leggere la ricostruzione frutto del lavoro dei carabinieri, sotto il coordinamento del pm minorile. Domenica notte, dunque, l'inganno prima della violenza, la malizia prima dei calci e dei pugni. Restiamo alle immagini finite agli atti: la Procura parla esplicitamente di «inganno» in cui viene tratto il Frederick Akwasi Adolfo, quando uno dei due minorenni gli offriva il cinque. Un gesto amichevole, un saluto inequivocabile. Il resto della scena coincide con la morte di un uomo nato in Ghana 43 anni fa, che aveva attraversato il deserto coltivando in cuor suo il sogno di una vita migliore, per rimanere giorni - forse mesi - in un campo libico, fino ad approdare sulle coste della civilissima Europa; la storia di un uomo che muore per mano di due ragazzini ai quali aveva ricambiato un sorriso di amicizia. Ma la fine di Frederick si consuma in due momenti, intervallati da una manciata di secondi carichi di dolore e incomprensione. Torniamo al cinque, all'inganno prima delle botte. Viene colpito al volto, con inaudita violenza, sbattendo a terra con la testa. Non è finita. Pochi secondi, una seconda scarica di colpi. I due vigliacchi si allontanano, scappano, l'uomo è ancora vivo e trova la forza di alzarsi da terra. Comprende che è meglio lasciare il proprio giaciglio abituale, per cercare riparo tra le auto e un muro all'interno di una corte condominiale, in via Principe di Piemonte. È uno dei momenti più drammatici della sua vita, tanto da indurre gli inquirenti a fare una riflessione: prova a nascondersi ma non chiede aiuto.

Non cerca di attirare l'attenzione dei condòmini o dei passanti, non fa il tentativo ad allarmare il vicinato, che pure lo conosce come una persona mite. Forse - sembra essere la ricostruzione - perché non crede di averne il diritto, lui da sempre ai bordi della società civile locale, lui protagonista di una vita passata alla ricerca di uno spazio nel mondo senza violenza. Morirà poche ore dopo. Non è chiaro quando, probabilmente intorno alle otto di lunedì mattina, quando uno dei condòmini si accorge del corpo del ghanese accartocciato su se stesso a pochi spazi dal garage. Vengono allertati i soccorsi, inutile la corsa in ospedale, scattano le indagini che si concentrano sui video che ritraggono gli indumenti dei due picchiatori. Poi, l'analisi dei social dei due sospettati, finiti in manette due giorni fa. Ora l'attenzione si concentra sull'udienza di questa mattina. Difesi, tra gli altri, dal penalista napoletano Edoardo Izzo, i due elementi finiti sotto inchiesta sono attesi al cospetto dei giudici. Sulle loro vite, alla luce del lavoro svolto dai militari dell'arma, si conoscono alcuni particolari, tra vita reale e vita elettronica, a proposito della galleria di immagini postate su TikTok anche poche ore prima del raid di domenica notte. 

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Uno dei due è nato in Italia, figlio di genitori incensurati e ritenuti estranei alla malavita organizzata; l'altro è figlio di genitori romeni: entrambi sono cresciuti nelle palazzine popolari costruite negli anni del dopo terremoto. Entrambi sono abbagliati dal culto della violenza e della violazione continua delle regole, in un rimando - oramai scontato - con tutto l'armamentario mediatico che ruota attorno a boss, killer, guerriglieri metropolitani armati di coltelli, tirapugni. Una galleria di sangue, a scorrere le immagini di uno dei due profili social, esattamente come raccontato pochi giorni fa dal Mattino, a proposito dell'allarme della procuratrice minorile De Luzenberger.

E c'è una frase postata, quasi a mo' di sfida, da uno dei due minorenni, appena sette ore prima di andare a colpire un uomo indifeso e ben disposto nei loro confronti: «Mentre la Digos mi cerca...», dice a proposito delle armi esposte in bella mostra. Una sorta di messaggio che annuncia l'assalto mascherato dal cinque amichevole. 

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