Afghanistan, i profughi di Napoli: «C’è ancora ressa a Kabul, uccideranno i nostri cari»

Afghanistan, i profughi di Napoli: «C’è ancora ressa a Kabul, uccideranno i nostri cari»
di Valentino Di Giacomo
Domenica 29 Agosto 2021, 00:00 - Ultimo agg. 19:41
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«Vi prego, andate via da lì, ormai voli per l’Europa non ne partiranno più per tanto tempo. Tornate a casa e cercate di restare al sicuro». Sono telefonate che si concludono tutte tra le lacrime quelle dei profughi ospiti del Covid residence di Ponticelli. Ognuno di loro ha lasciato nel proprio Paese un parente ed è dovuto partire soltanto con una piccola borsa a bordo di un aereo cargo dell’Esercito italiano che ha fatto scalo prima in Kuwait e poi è giunto a Roma. Kahlid, un 27enne che collaborava con i militari della Nato, nella sua stanza alla periferia di Napoli sta parlando con la madre. Implora la mamma e la sorella di andar via dall’aeroporto, lì dove basta capitare al posto sbagliato nel momento sbagliato, proprio quando un kamikaze dell’Isis minaccia di farsi esplodere o qualche colpo di fucile può colpire sulla folla. «Ne ho visti tanti di morti durante le mie ultime ore a Kabul e - spiega Khalid - ai volontari della Protezione Civile dell’Unità di Crisi della Regione Campania coordinata da Italo Giulivo - ora temo che mia madre o mia sorella possano fare la stessa fine. Chi non è morto per mano dei talebani o dei terroristi è rimasto schiacciato nella calca della tanta gente che provava ad entrare in aeroporto». 

Si assomigliano tutte le storie delle 127 persone ora al sicuro a Ponticelli assistite dal personale dell’Asl Napoli 1 diretta da Ciro Verdoliva.

Sono quasi tutte persone con un grado culturale medio-alto. Basta leggere ciò che ha scritto sulla propria pagina Facebook Daoud, un medico che collaborava con i nostri militari, di questo suo esodo improvviso verso l’Italia, ora anche lui a Ponticelli: «Nessuna parola può descrivere i miei sentimenti e niente potrebbe guarire questo dolore. Non avrei mai immaginato di lasciare il mio paese così, con una piccola borsa a mano, lasciando indietro tutto ciò per cui ho lavorato e tutti i sogni che avevo».

Il fuso orario di Kabul è due ore e mezzo avanti rispetto all’Italia, in ogni stanza del Covid residence ognuno resta al telefono o si aggiorna di ciò che succede in Afghanistan attraverso i social. Si prova a guardare al futuro, ma ognuno ha lasciato dietro di sé una vita cambiata repentinamente. C’è il racconto delle madri che ripercorrono le ultime ore trascorse a Kabul. «Ho trascorso tre notti all’esterno dell’aeroporto con i miei figli - racconta Haleema - prima di riuscire ad entrare al gate. Faceva molto freddo e abbiamo acceso dei fuochi di fortuna per riscaldarci. In Afghanistan lavoravo come insegnante, lì ho lasciato tre sorelle, una di loro non è sposata ma lavora anche lei in una fabbrica, ora i talebani non le permetteranno di lavorare». Tutte le donne ospiti a Napoli temono soprattutto per le madri e le sorelle rimaste in Afghanistan, sono certe che con la presa del potere da parte dei talebani la vita dei loro cari non sarà più la stessa. La maggior parte delle donne nel Covid residence è sposata, sono quasi tutte mogli di chi collaborava con il personale Nato a Kabul ed Herat. Tra loro c’è anche la moglie di un Generale dell’Esercito afghano, Aalia, arrivata a Ponticelli insieme al marito. «Per molti anni - spiega - abbiamo pensato di essere al sicuro, di essere protetti, ora è tutto finito. Dovremo ricominciare daccapo e ricostruirci una nuova vita, per fortuna qui siamo stati accolti benissimo». Ha solo parole di felicità invece Hanan, che meno di due settimane fa ha partorito il suo piccolo Elaham. «Spero - dice - che almeno a lui possa essere data la cittadinanza italiana, di fatto è come se fosse nato qui da voi».

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Tra i giovani c’è anche Rashad, 24enne che studiava medicina in Afghanistan e che era riuscito a collaborare con i militari italiani di stanza a Kabul. «Quando finirà la quarantena - ha detto al personale della Protezione Civile - spero mi sarà data l’opportunità di continuare a studiare qui in Italia». Tutti sono stati rassicurati che le autorità italiane - come annunciato anche dal governatore Vincenzo De Luca - cercheranno di aiutare i profughi nel loro percorso di inserimento, scenario non impossibile dal momento che quasi tutti gli ospiti dispongono già di una buona formazione. Mentre però sognano una nuova vita, tutti ritornano all’incubo vissuto nelle ultime ore. Con i propri smartphone la maggior parte dei profughi hanno fatto video e foto delle loro ultime ore a Kabul. «Non vogliamo che questo nostro dramma - spiega Mokhtar - venga dimenticato. Siamo felici di poter cominciare una nuova vita, ma ognuno di noi dovrà fare questo nuovo corso a caro prezzo».

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