«Passa frà», la partita di pallone dei bimbi Ucraina-Napoli a due passi dal Consolato di Kiev

Massimo e, con il pallone, il piccolo Oleg: la loro partita al centro direzionale davanti al Consolato ucraino
Massimo e, con il pallone, il piccolo Oleg: la loro partita al centro direzionale davanti al Consolato ucraino
Valentino Di Giacomodi Valentino Di Giacomo
Venerdì 25 Marzo 2022, 16:43 - Ultimo agg. 26 Marzo, 08:36
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Hanno perso già. Ancora non se ne sono resi conto, ma lo sapranno presto. I guerrafondai, i dittatori folli, gli spacciatori di armi, gli invasati della legge del più forte, quelli che tracciano i confini del mondo con l'illusione di poter costruire muri soltanto perché disegnati a penna. Hanno perso già. Per ascoltare quanto fracasso produce la loro sconfitta dovrebbero farsi solo un giro a Napoli, al centro direzionale, all'esterno del Consolato ucraino. Qui appurerebbero che sono circondati, che non hanno scampo, obbligati alla bandiera bianca, un telo per coprire con la resa le loro follie. Vengano qui, a Napoli. Qui vedrebbero Massimo, Oleg e Igor sorridere e gridare felici dietro un pallone arancione.  Mentre mamme con sguardi di guerra sono in fila in attesa del proprio turno per registrare il proprio arrivo, eccoli qua i bambini che giocano a pallone.

Il più grande si chiama Massimo, ha 12 anni, all'anagrafe sarebbe Maksym, ma non lo ricorda nemmeno più. È semplicemente Massimo perché da 11 anni vive a Napoli con mamma Maria ed è uno dei milioni di bimbi italiani, solo che non sono nati qui. “Ibraaaa, tiroooo, goool” urla Massimo ai suoi due cuginetti di 9 e 7 anni arrivati da Ternopil. Corrono felici, le corse per allontanarsi dai rumori di missili e granate che si avvicinavano sempre di più sono già un ricordo lontano, basta così poco. C'è ancora un pallone, che forse non cambierà le traiettorie della storia, che non muove milioni di euro come quello che gira sui prati verdi della Serie A, ma che riempie l'anima di chi sta a guardare. Basta un pallone per fare da richiamo anche per tre ragazzini napoletani, quelli che in una Napoli di qualche tempo fa avremmo chiamato con più convinzione scugnizzi e che oggi sappiamo essere cittadini del mondo, quello che confini non ha più, se non quelli disegnati con l'inchiostro simpatico e che genera risate di scherno in chi osserva il mondo per quello che è.
Tre contro tre organizzano la loro partitella: Igor, il più piccolo, gioca con altri due bimbi napoletani così le squadre sono equilibrate.

Tra bimbi, a differenza di qualche folle guerrafondaio, il più grande e più forte non approfitta della propria condizione, ma rimuove le possibili sproporzioni, non specula sulle temporanee condizioni di minoranza altrui, non sono ammesse invasioni.

Lo sport o insegna questo o non è. In assenza dei soliti zaini o di sassi, i pali delle porte sono scatole vuote dove prima c'erano le bambole donate da famiglie napoletane alle bimbe che giocano all'esterno del Consolato mentre le loro mamme sono in attesa di entrare negli uffici diplomatici ucraini. Gridano felici i bimbi festeggiando i gol. Dopo dieci minuti Oleg già ha imparato due parole: “passa” e “frà”. Neppure si conoscono e questi ragazzini nati a 2500 chilometri di distanza , che non hanno nessuna parola in comune e vite vissute così diverse già si chiamano fratelli, pur se è solo intercalare partenopeo, che però si fa sostanza sulle mattonelle in pietra del centro direzionale. La partita dura più di mezz'ora, a fine gara i bimbi, aiutati da Massimo che fa da interprete con i ragazzini napoletani, si scambiano i numeri di telefono e i contatti dei social network.

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Francesco, uno dei ragazzini che abita in zona, già propone di vedersi per una pizza. Ora sono amici, nonostante Massimo sia tifoso del Milan e sia già nata la gara di sfottò su chi vincerà lo scudetto. Oleg, tifoso della Dinamo Kiev, racconta che pure la sua squadra del cuore – prima che sospendessero il campionato per l'arrivo dei carri armati russi – era dietro di appena due punti alla capolista Shakhtar allenata dall'ex giocatore del Napoli, Roberto De Zerbi. Parlano di pallone, le bombe sono più o meno lontane, ma non abbastanza. Il papà di Oleg e Igor è infatti rimasto al fronte per combattere, ma questo lo sa solo mamma Maria. Ai due bimbi è stato detto che papà arriverà tra qualche giorno e, forse, in cuor suo, mamma Maria lo spera pure. Intanto è però bastata solo una partita con un pallone arancione per tenere lontani per un po' tutti i pensieri più brutti. Come sia finita la partita, quale squadra abbia vinto, non si sa. Da quegli occhi azzurri di nuovo felici, da quelle voci di vita sappiamo solo chi è destinato a perdere sempre. “Passa, frà” e la partita ricomincia. Arrendetevi, avete già perso, lo saprete presto.

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