Giornata mondiale del rifugiato, corteo a Napoli: «Le nostre vite non possono più aspettare»

Giornata mondiale del rifugiato, corteo a Napoli: «Le nostre vite non possono più aspettare»
di Alessio Liberini
Venerdì 17 Giugno 2022, 20:40 - Ultimo agg. 18 Giugno, 08:53
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Un fiume in piena, colorato da migliaia di volti di uomini e donne provenienti da ogni dove, condito con slogan e messaggi di pace ed anti razzisti. Chiedono un permesso di soggiorno per protezione speciale al fine di tutelare «tutte quelle persone che sono qui da anni e che in questo momento sono vittime di sfruttamento lavorativo». Sono i tanti rifugiati, scappati da guerre e conflitti, che a Napoli ed in Campania hanno trovato una nuova vita, ma non sempre nuovi diritti degni - quanto meno - del mondo occidentale.

Così questa mattina, in occasione della Giornata mondiale del rifugiato (che ricorre il prossimo 20 giugno, per commemorare l'approvazione nel 1951 della Convenzione relativa allo statuto dei rifugiati da parte dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite) in migliaia sono scesi in piazza Napoli per ribadire che: «L’invisibilità non è un superpotere». Questo il testo apparso su un cartellone portato in piazza da un manifestante. Un altro ragazzo, invece, ci tiene a precisare con la sua creatività materializzata su un foglio in A4 che: «Le nostre vite non possono più aspettare».

A promuove la mobilitazione, che domani si sposterà per un analogo corteo anche a Caserta, è stato il Movimento Migranti e Rifugiati Napoli, insieme all’Ex Canapificio di Caserta, il collettivo Smallaxe, Emergency e YaBasta. Diverse migliaia i partecipanti, 7mila per gli organizzatori, che si sono spostati in corteo – a suon di slogan e rivendicazioni sociali – da piazza Garibaldi fino a raggiungere piazza Municipio, concentrandosi all’esterno di Palazzo San Giacomo. A termine della marcia pacifica una delegazione di rifugiati è stata accolta in prefettura mentre, nei pressi della fontana del Nettuno, la comunità islamica e quella cristiana-nigeriana si sono raccolte in un momento di preghiera, di entrambe le religioni. In piazza presenti anche tante associazioni locali, Ong, rappresentanti del mondo religioso (solo qualche settimana fa gli organizzatori erano riusciti a portare il volantino dell’evento fino a San Pietro consegnandolo, personalmente, nelle mani di Papa Francesco) e cittadini partenopei. Con loro, insieme ai tanti migranti, anche l’ex sindaco di Napoli, Luigi De Magistris. A termine della mobilitazione anche l’assessore alle Politiche Sociali di Palazzo San Giacomo, Luca Trapanese, ha incontrato in piazza i manifestanti per proporsi come “promotore”  del dialogo avviato con la Questura e la Prefettura.

«Siamo in piazza – racconta Mariema Faye, portavoce del Movimento Migranti e Rifugiati Napoli – ancora una volta per rivendicare i diritti sociali ed umani. Ma allo stesso tempo diciamo “Stop alla guerra” e “Stop al razzismo”». «Le nostre rivendicazioni sono molto semplici – precisa Mariema – chiediamo un permesso di soggiorno chiamato “protezione speciale” per tutte le persone presenti sul territorio che qui lavorano e portano avanti questo Paese, magari anche venendo sfruttati».  Proprio il permesso di soggiorno è la principale richiesta dei manifestanti, senza il quale la loro vita è soggetta ad ostacoli e complessità quotidiane, come il semplice affitto di un appartamento o l’accesso alle cure sanitarie.

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«Chiediamo solo la nostra dignità – chiarisce Ousmane Diop, referente dell’Associazione senegalesi di Caserta, mentre sul suo volto compare un ghigno di tristezza – di essere trattati come esseri umani: avere un permesso di soggiorno, avere una semplice casa anche in affitto, ma anche versare i contributi come tutti e non essere sfruttati dalle aziende». «C’è chi prende 25 euro al giorno a fronte di 13 ore di lavoro, poi magari capita anche che non ti pagano la giornata» precisa amareggiato Ousmane che in Italia ci vive da ben 12 anni.

«Due anni fa – denuncia la portavoce del Movimento Migranti e Rifugiati – abbiamo visto un tentativo, completamente fallimentare, di emersione che ha portato tantissimi fratelli e sorelle migranti a perdere centinaia di migliaia di euro che sono andati nelle tasche dei padroni.

Già due anni fa denunciavamo quella sanatoria come una truffa». Ad oggi «ancora tantissime persone muoiano in mare - prosegue Mariema – muoiono nei campi dove sono costretti a lavorare per due euro all’ora, oggi gridiamo il nostro basta a tutto ciò».

A comprendere il dramma del nuovo millennio ci sono anche tanti napoletani che, volontariamente, ogni giorno danno il proprio impegno per arginare le tragedie che, quotidianamente, si osservano nel Mare nostrum.

«Sappiamo cosa significa migrare – spiega Laura Marmorale, attivista del nodo di Napoli dell’Ong Mediterranea Saving Humans – vediamo con i nostri occhi, nel mare Mediterraneo, la fatica, la sofferenza, il disagio e lo sfruttamento che portano centinaia di migliaia di persone a lasciare la propria casa ed i propri affetti per cercare una vita più dignitosa». «Riteniamo fondamentale – evidenzia Laura – che negli stati della Comunità europea si stabiliscano, finalmente, delle politiche di accoglienza e di garanzia dei flussi migratori che considerino i cittadini migranti come persone e non semplicemente come un problema sociale o di ordine pubblico. Il blocco della sanatoria del 2020 è inaccettabile, ci sono vite rimaste al palo in attesa di non si sa neanche bene cosa».

Si tratta di una «questione di dove vogliamo che vada il mondo, verso un’uguaglianza di razze ma anche di parità di diritti» osserva Mirella La Magna, fondatrice del centro sociale Gridas di Scampia, richiamando all’importanza della cultura come lodevole strumento di inclusione sociale.  

«Il popolo dei rifugiati in Italia non trova, purtroppo, accoglienza sufficiente – racconta, invece, padre Alex Zanotelli – Questo è un problema mondiale se pensiamo che l’Onu ci dice che ci sono oltre 90 milioni di profughi nel mondo. Il problema e che noi, con le nostre politiche razziste, stiamo obbligando tanti di questi profughi a rimanere in Libia dove gli uomini sono torturati e le donne vengono violentate. Dobbiamo prendere seriamente questo popolo di profughi dal momento che può davvero risollevare questo Paese».

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