Lavoro, il caso Campania: 35mila nuovi posti, ma si copre solo il 50%

Le stime Unioncamere per gennaio 2024

Lavoro, il caso Campania
Lavoro, il caso Campania
di Nando Santonastaso
Venerdì 5 Gennaio 2024, 22:52 - Ultimo agg. 6 Gennaio, 19:27
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Dice Andrea Prete, presidente di Unioncamere, che al Sud c’è un problema in più per le imprese che prevedono nuove assunzioni. «Mancano materialmente i candidati e non solo perché le competenze richieste non si trovano», dice commentando l’aggiornamento di Unioncamere e Anpal sulle possibili opportunità occupazionali del mercato del lavoro di questo mese (e del trimestre). Il dato reso noto ieri racconta che dei 508mila lavoratori ricercati dalle imprese di tutta Italia, 110mila riguardano il Sud e 35mila la sola Campania che si colloca tra le prime sei regioni in questa particolare classifica: numeri importanti perché si arriverebbe a circa 1,4 milioni entro marzo 2024, ovvero oltre 4mila assunzioni in più rispetto a gennaio 2023 (+0,9%) e 69mila (+5,3%) prendendo come riferimento l’intero trimestre dello scorso anno. Il guaio è che di quei 508mila potenziali lavoratori quasi la metà, pari a circa 250mila posizioni, non si trova. A gennaio il mismatch tra domanda e offerta di lavoro non arriva al 50% (si ferma secondo l’indagine al 49,2%) «soprattutto a causa della mancanza di candidati (31,1%), seguita dalla preparazione inadeguata (14,3%) e da altri motivi (3,8%)». 

Per essere più espliciti, dal Borsino delle professioni sono difficili da reperire sul mercato gli specialisti nelle scienze della vita (si arriva addirittura al 91,4% di farmacisti, biologi e altri profili appartenenti a questo gruppo professionale), seguiti dagli operai addetti a macchinari dell’industria tessile e delle confezioni (72,8%), dai fonditori, saldatori, montatori di carpenteria metallica (72,6%), dagli operai specializzati addetti alle rifiniture delle costruzioni (71,8%) e dai tecnici della gestione dei processi produttivi di beni e servizi (70,6%). 

Già, ma dove entra in ballo il Sud? Quando si valuta la carenza di disponibilità si scopre che Sud e isole hanno la percentuale più bassa rispetto alla media nazionale, il 49,7% di cui sopra. L’area più debole del Paese si ferma infatti al 45,4%. All’apparenza potrebbe essere un dato meno pesante delle altre macroaree (il Nord Ovest supera il 54%) dando l’illusione che da queste parti sia meno difficile trovare chi possa rispondere alle esigenze delle imprese. «Ma le cose purtroppo stanno diversamente - dice il presidente Prete -: il fatto è che da noi mancano fisicamente i possibili nuovi lavoratori perché l’impatto di fenomeni sempre più gravi come la denatalità e la fuga dei giovani al Nord o all’estero sta diventando un fattore di squilibrio sociale ed economico a tutti gli effetti. Le imprese fanno fatica a riempire le caselle occupazionali perché non c’è la materia prima necessaria, in altre parole. E se poi a questo aggiungiamo la difficoltà di recuperare competenze adeguate lo scenario diventa ancora più complicato». 

Prete cita spesso un aneddoto a proposito di questa deriva: «Il presidente della Camera di Commercio di Ravenna mi confessò un giorno che non era più tanto triste per il fatto che migliaia di giovani locali avevano lasciato la regione per andare a cercare lavoro all’estero: li abbiamo rimpiazzai con i vostri giovani del Sud, mi disse candidamente. È un esempio che spiega tanto e dimostra anche perché al Sud le medie imprese sono pochissime rispetto alla media nazionale (appena 370 su circa 3.700) pur producendo risultati eccellenti», sottolinea il presidente di Unioncamere.

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Di sicuro nell’indagine si spiega molto del perché si fa fatica a trovare le persone giuste.

Ci sono temi salariali, di competenze specifiche, di contratti, ad esempio. Se le pmi e le medie e grandi imprese si mantengono in testa alla classifica delle potenziali assunzioni, le microimprese che rappresentano una quota significativa del totale delle imprese al Sud (e non solo) prevedono una flessione nella ricerca di nuovi addetti pari a circa 4.500 assunzioni in meno rispetto allo stesso periodo del 2023. È negativa, peraltro, a gennaio anche la tendenza prevista delle imprese del turismo e dell’industria manifatturiera (rispettivamente -12,1% e -2,3% rispetto all’anno precedente) e il dato non può essere giustificato, almeno nel caso del turismo, solo dal fatto che i primi mesi dell’anno invogliano di meno viaggi e spostamenti per motivi di svago. 

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