Nicola Gratteri procuratore di Napoli: «La sfida social delle mafie, così cresce la loro fama»

Il Grifone, saggio scritto a quattro mani con Antonio Nicaso

Il procuratore Nicola Gratteri
Il procuratore Nicola Gratteri
Leandro Del Gaudiodi Leandro Del Gaudio
Martedì 14 Novembre 2023, 07:11 - Ultimo agg. 15 Novembre, 09:33
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Non hanno mai rinunciato a farsi pubblicità. Anzi: sono sempre stati specializzati nel marketing territoriale. Anche quando camminavano con la coppola e la lupara, sapevano come imporsi all'attenzione mediatica, all'interno di un villaggio che un tempo era spazio fisico, oggi è diventato villaggio globale. Eccole le mafie nel 2023, secondo quanto emerge dalla lettura de Il Grifone, saggio scritto a quattro mani dal magistrato calabrese Nicola Gratteri, attuale procuratore di Napoli, e Antonio Nicaso, testo pubblicato da Mondadori per la collana Strade blu. Un volume che esplora l'ultima frontiera del crimine organizzato in Italia, passando attraverso una miriade di esempi tratti da indagini in materia di ndrangheta (contro cui Gratteri ha speso un'intera esistenza), di contrasto alla scu e ovviamente a mafia e camorra. Chiaro l'approccio iniziale: la rete è un far west, quindi un luogo appetibile per i clan. Soprattutto quanto in ballo c'è la visibilità mediatica, che è l'anima di un'organizzazione criminale. È il leit motiv del libro di Gratteri e Nicaso: un tempo le mafie ristrutturavano chiese, partecipavano in modo vistoso a raccolte di denaro, acquistavano o finanziavano la squadra locale. Erano questi i canali social ante litteram, gli strumenti di autopromozione dei boss, le fonti di consenso sociale. Oggi è diverso. 

Oggi esiste la rete, come emerge dal sottotitolo del saggio pubblicato in questi giorni: «Come la tecnologia sta cambiando il volto della ndrangheta», ma anche delle altre mafie (camorra compresa), a giudicare dagli esempi offerti al lettore dai due saggisti. In sintesi, in pochi anni boss e gregari si sono affidati a Facebook, Instagram e, soprattutto di recente, a TikTok per farsi pubblicità: per promuovere le proprie gesta, acquisire consenso, imporre un profilo vincente, e - cosa non secondaria - indirizzare sfide ai rivali o messaggi al proprio retroterra. Un'inchiesta sui social, che attraversa gli ultimi quindici anni, a giudicare dagli esempi offerti ne Il Grifone: viene citato il caso di Emanuele Sibillo, il boss della cosiddetta paranza dei bambini, noto come Es17 (lì dove la esse è la diciassettesima lettera dell'alfabeto), che viene ucciso nel 2015 nel corso di un agguato in via Oronzio Costa, poi ribattezzata strada della morte. Poi altre storie pulp che entrano nella trattazione dei due scrittori: «Uno dei primi casi risale al 16 ottobre del 2014, quando Fabio Orefice viene ferito nel corso di un regolamento di conti tra i clan di rione Traiano di Napoli. Per niente intimorito sfida gli aggressori, postando su Facebook frasi inequivocabili: Il leone è ferito ma non è morto, già sto alzato. Aprite bene gli occhi che per chiuderli non ci vuole niente. Avita murii». Dunque, i social network sono un terreno da controllare, anche per chi per anni ha fatto della riservatezza un proprio stile di vita. È qui che si creano le condizioni di una guerra, come ha scritto il gip del Tribunale di Napoli Maria Luisa Miranda, a proposito dei post tra i barresi e quelli di rione Traiano per la conquista di zone neutre di movida, come gli chalet di Mergellina. Post successivi all'omicidio di un ragazzo estraneo ai clan, parliamo di Francesco Pio Maimone, per mano del ventenne Valda. «Grazie a fb è stato possibile documentare la nascita a Napoli nell'estate del 2017 del nuovo cartello criminale targato formato dal clan Rinaldi-Reale-Formicola (San Giovanni a Teduccio), del clan Cuccaro-Aprea (Barra), e dal clan De Luca Bossa-Minichini-Casella (Ponticelli).

Un'alleanza celebrata sui social dove, nel frattempo, si era sedimentata una comunità di mafiofili capace di replicare le relazioni tra il clan e la cerchia orbitante nel territorio di appartenenza».

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Ma c'è altro da considerare nello scenario scandito dalla rivoluzione digitale. È la questione della sicurezza. O meglio il tema degli investimenti in materia di sicurezza informativa: le mafie investono per creare delle piattaforme a prova di intercettazione, grazie al lavoro di informatici dell'Est-europeo. È stato il caso di encrochat, che consentiva a soggetti come Raffaele Imperiale di dialogare in tutto il mondo senza essere intercettatI. Eppure a bucare questa piattaforma ci hanno pensato i francesi, poi gli olandesi e gli spagnoli. «Qui si investe poco in sicurezza, serve una svolta, non siamo più un modello». 

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