Primo maggio a Napoli, il movimento neoborbonico: «Oggi ricordiamo i primi martiri del lavoro»

Gli operai della fabbrica di Pietrarsa
Gli operai della fabbrica di Pietrarsa
di Antonio Folle
Venerdì 1 Maggio 2020, 15:51 - Ultimo agg. 16:49
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Erano passate da poco le 14.00 di un torrido 6 agosto del 1863 quando all'interno dell'enorme cortile dello stabilimento di Pietrarsa una campana cominciò a risuonare a stormo per richiamare gli operai. I lavoratori delle officine siderurgiche, uno dei tanti primati del regno delle Due Sicilie, stavano protestando per la svendita della fabbrica da parte del governo italiano ad un faccendiere che aveva il compito - neanche troppo malcelato - di affossare una delle più importanti realtà industriali dell'epoca che aveva, però, un difetto di base: era collocata nell'ex capitale di un regno da poco conquistato. 

Quando gli operai napoletani si ritrovarono nel cortile della fabbrica, protestando per chiedere condizioni di lavoro e salari migliori, si trovarono di fronte un reparto di bersaglieri pronti alla carica. Bastarono pochi istanti ed uno squillo di tromba per perpetrare quella che è a tutti gli effetti una delle prime stragi di operai dell'epoca moderna. Sotto i colpi inferti dai bersaglieri piemontesi, da pochi anni diventati italiani al pari degli operai che stavano impietosamente caricando, morirono 4 operai - Luigi Fabbricini, Aniello Marino, Domenico Del Grosso e Aniello Olivieri - mentre un'altra ventina di operai finì all'ospedale con ferite da taglio inferte dalle baionette dei soldati che caricarono con furia cieca. 
 


Oggi, in occasione della festa dei lavoratori, il Movimento Neoborbonico ha voluto ricordare quella strage di Stato, forse uno dei pesanti strascichi della guerra che ancora si stava combattendo nei boschi della Sila o nelle aspre terre di Basilicata tra i partigiani del regno delle Due Sicilie e i soldati dell'esercito italiano inviati a sedare le rivolte col ferro e col fuoco. 

Proprio al Movimento guidato da Gennaro de Crescenzo va il merito storico di aver fatto riemergere dagli archivi una strage finita per troppi anni nel dimenticatoio. Le complicate ricerche archivistiche e documentali hanno portato alla luce i fatti orribili del 6 agosto 1863 e spingono ancora oggi ad una amara riflessione sull'attualità di certe tematiche.

«Pietrarsa per noi che amiamo la nostra terra e la nostra storia ha due facce - ha spiegato Gennaro de Crescenzo - una positiva ed una negativa. La faccia positiva è legata sicuramente ad uno dei primati più belli del regno delle Due Sicilie, una fabbrica che a regime impegnava circa 1050 operai ed era un vanto per l'Italia e per l'Europa, copiata persino dagli Zar di Russia nel loro lontano paese. La faccia negativa di Pietrarsa è purtroppo rappresentata dalla sua parabola discendente che è coincisa con l'inizio della questione meridionale. Basti pensare che all'epoca dell'eccidio del 1863 solo poco più di quattrocento operai, poco e male pagati, lavoravano in una fabbrica che fino a pochi anni prima era presa a modello di perfezione industriale. Oggi - ha proseguito il presidente del Movimento Neoborbonico - è un giorno simbolico per i lavoratori. Per questo vogliamo invitare tutti i lavoratori, specie i napoletani, a riflettere su questa giornata e sulle ragioni di una questione meridionale che si trascina ancora oggi. Pietrarsa e i suoi operai dovevano morire perchè dall'altra parte d'Italia qualcuno aveva deciso di trasferire la produzione di locomotive all'Ansaldo di Genova. Una fotografia evidente di quello che si vede ancora oggi, con i fondi destinati al Mezzogiorno che vengono continuamente trasferiti altrove». 

Dai documenti dell'epoca sono emersi tantissimi particolari inquietanti su una vicenda ancora poco e male approfondita dalla storia. Secondo alcune fonti i morti sarebbero addirittura sette. Ancora più drammatici i resoconti ospedalieri dei medici dell'ospedale dei Pellegrini, che raccontano di ferite da taglio multiple inferte alle spalle agli operai che tentavano la fuga. Il più giovane dei feriti - un pericoloso reazionario anti-unitario secondo le miopi autorità dell'epoca - aveva solo 14 anni.

I bersaglieri che sedarono a colpi di fucile e baionetta una delle prime rivolte operaie d'Italia erano comandati dal questore Nicola Amore. L'uomo che sarebbe diventato famoso come sindaco di Napoli qualche anno dopo e a cui ancora oggi sono intitolate strade e piazze.  

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