Napoli campione d'Italia, quanto è dolce la festa dello stadio Maradona

Geolier, Clementino e Liberato al centro del campo: e la folla canta «Un giorno all'improvviso»

La festa scudetto nello stadio Maradona
La festa scudetto nello stadio Maradona
Giuseppe Taorminadi Pino Taormina
Domenica 7 Maggio 2023, 23:01 - Ultimo agg. 8 Maggio, 17:36
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Come è dolce la festa. «Un giorno all’improvviso mi innamorai di te», per dieci, quindici minuti. Prima e dopo il 90’. La squadra che corre sotto le due curve, i tifosi che restano composti ai loro posti a cantare a squarciagola. I fuochi pirotecnici, la musica, Nino D’Angelo con il suo “Napoli, Napoli». Sì, come è dolce la festa. “Napol3” è lo spot scelto. Di Lorenzo che chiama i suoi a raccolta, Kim che balla come nei video coreani che fanno tanto sorridere, Osimhen che ha la bandiera tra le mani, una sciarpa in testa che usa come bandana. Politano che torna a fare il capopopolo, proprio come nelle notte di Udine.

I monitor riprendono spesso De Laurentiis che non trattiene la sua emozione, gli applausi sono per lui. E per la sua adorata nipotina, che indossa la mascherina di Osimhen. Un giro di campo che vorrebbero non finisse mai. Iniziato a luglio, nel deserto di Dimaro, quando nessuno credeva in loro. È un tributo di applausi, è migliaia di bandiere al vento. Dentro. Ma anche fuori. Dopo fa impressione la marea umana che vuole prendere lo stesso alla festa. Spalletti ha lasciato alla squadra il giro d’onore. Lui in solitudine rientra quasi subito. Ricorda Ottavio Bianchi nelle notte di Stoccarda. Poi inizia il festone con la musica a palla.

La festa è qui, a Udine è stata subito una ressa perché la maxi-invasione ha impedito il giro di campo. Ieri notte no: il questore Giuliano e il capo della sicurezza del club Iannone ha preparato tutti: il cordone di steward è entrato in azione fin dai primi minuti del match. Già, la partita. La prima da campioni d’Italia è con la squadra contro cui il Napoli si prese il primo scudetto. Il 10 maggio 1987. Ed è un bel tuffo al cuore: perché i viola scelgono al stessa divisa (modernizzata) di allora, maglia bianca e pantaloncini viola.

Non c’è Baggio, e di qua non c’è Maradona. Sono trascorsi 36 anni. Una vita. Ma è come se il tempo, per certi versi, fosse rimasto immobile. Non si è ben capito se è la festa dopo la partita o è la partita prima della festa. Perché la voglia è poco, per arrivare a questa partita il Napoli si è allenato solo sabato mattina. Anche i tifosi partecipano allo show, non aspettano quello di don Aurelio. Due coreografie in curva e una serie di striscioni. «Grazie per aver dato a noi e a chi non c’è più un’altra data da ricordare». L’assaggio della festa a Udine, questo è un abbraccio vero, autentico. È un pieno di emozione. Non è più «abbiamo un sogno nel cuore, Napoli torna campione». Ora è fatta, è una sola voce: «i campioni dell’Italia siamo noi» urlano i 54mila mentre la Fiorentina rende omaggio con il Pasillo de honor (passerella d’onore).

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C’è tutta la famiglia Simeone, con Diego in prima linea e la sorella e manager Natalia. «Ma qui io sono solo un “papo” felice per lo scudetto che ha vinto mio figlio e non sono l’allenatore dell’Atletico Madrid», dice prima di andare a salutare De Laurentiis e Spalletti. «Che bello stare tra il Cholo e Spalletti», scrive in un post il presidente che sembra diventato un influencer visto l’uso che ormai fa Twitter. Tant’è che poco prima ha pure reso pubblico il messaggio di Koulibaly: «Complimenti per lo scudetto che aveva predetto da molto tempo». Il festone promesso inizia con la pista che diventa un “led carpet” di luci azzurri e tricolori e le varie esibizioni: inizia Emiliana Cantone, poi uno dopo l’altro Clementino, Eduardo Bennato, Geolier. Il 3 sulle spalle è il numero magico della notte. Non se ne va nessuno, tutti restano sugli spalti. Alle 20,48 entrano i calciatori e si alza un coro. 

«Dedico lo scudetto ai tifosi della curva A, B, distinti, Nisida, Posillipo, ai disabili e a tutti i tifosi napoletani che sono a casa nel mondo», è l’esordio di De Laurentiis introdotto da Sorrentino. «Mio figlio Eduardo è stato il mio braccio destro e sinistro. Sono felice per questo scudetto, molto. Tenevo molto alla possibilità di vincere anche la Champions, ci riproveremo l’anno prossimo». Poi arriva l’ad Andrea Chiavelli che dice: «È un’emozione impagabile, la dimostrazione che se si crede nel lavoro i sogni si avverano». Il ds Giuntoli viene accarezzato dalle parole di Dela: «C’è da lavorare questa estate perché dobbiamo vincere, vincere e vincere ancora». Lui replica: «Da otto anni questa è la mia famiglia, Aurelio come un padre. Sento sempre parlare di chi se ne va, ma non abbiate paura, il presidente sarà sempre la garanzia di questo Napoli», dice lasciando trapelare un velo di malinconia.

La squadra è chiamata uno a uno da Decibel Bellini. Parla Di Lorenzo: «Vedere felici queste persone era il nostro obiettivo. I tifosi si meritano più di tutti questo successo e siamo contenti per questa gioia che abbiamo regalato. Ci avete sempre sostenuto in tutti gli stadi, ci sembrava di giocare in squadra». C’è la maglia speciale, con i volti dei calciatori. «Stiamo cercando in giro campioni americani, coreani, giapponesi», dice il patron facendo intendere che sul mercato c’è già fermento. Le parole con cui accoglie Spalletti sono più di una dichiarazione d’amore, di una pec di rinnovo o di una cena per dirsi “resta, ma dove vai?”. «È a lui che dobbiamo tutto, è lui il clou della serata, la star delle star, il nostro cazzutissimo Luciano».

Lo stadio lo acclama, la squadra lo porta in trionfo. «È proprio vero che è la città dei miracoli, se avete fatto vincere un campionato a me, ci sta tutto», spiega. E ancora: «Se esistesse un modo per trasformare la felicità e l’amore in energia elettrica potremmo illuminare tutti gli stadi della serie A». Dice che non riesce a essere felice, ma almeno in questi momenti lo è. «Siete stati tutti protagonisti di questa fantastica storia, vi voglio bene assai...». Poi il via ai fuochi d’artificio. Anche se è da agosto che questo Napoli li ha fatti vedere. In Italia e in Europa. Con ancora un altro giro di campo, con la squadra che non vorrebbe mai che finisse questo spettacolo (con il finale di Liberato) e quel “Diego Diego” in sottofondo che unisce come un filo conduttore i tre scudetti del Napoli. 
 

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