«Uno, nessuno e centomila», all'Orto Botanico l'utimo romanzo di Pirandello

«Uno, nessuno e centomila», all'Orto Botanico l'utimo romanzo di Pirandello
di Emanuela Sorrentino
Giovedì 25 Luglio 2019, 10:44
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Un uomo, un uomo qualunque come si definisce lui stesso, un giorno come un altro, riceve un'osservazione da sua moglie: "Guardatelo bene il naso, ti pende verso destra". Questa semplice e apparentemente innocua frase trascina l’uomo, Vitangelo Moscarda, in abissi di riflessioni e considerazioni che gli scavano dentro.

Inizia a ricercare dentro di sé, nelle persone intorno a lui, scoprendosi «Uno, nessuno e centomila», titolo del romanzo di Luigi Pirandello che Paolo Cresta porta in scena, in prima assoluta, sabato 27 luglio alle ore 21 (repliche fino a lunedì 29), al Real Orto Botanico di Napoli nell’ambito della rassegna estiva Brividi d’Estate 2019, diretta da Annamaria Russo.

In scena un uomo, solo, avvolto nel disegno luci di Amedeo Carpentieri, si rivolge direttamente al pubblico, proprio come il romanzo si rivolge direttamente al lettore. Racconta la sua storia, e nel farlo si confida, si confessa, rivive il suo lancinante viaggio interiore, inducendolo ad affermare che, oltre a tutto il resto, non ha più bisogno di un nome, perché i nomi convengono ai morti, a chi ha concluso. Lui è vivo, e non conclude. La vita non conclude, e non sa di nomi.

È così che, da un semplice specchio, superficie ambigua e inquietante, emerge per Vitangelo Moscarda, un volto di sé finora ignorato, provocando in lui una profonda crisi, fino all’agghiacciante consapevolezza che la sua immagine negli occhi degli altri è lontana anni luce da quella che ha di se stesso.  

Da qui la presa d’atto ancora più inquietante: egli non è ‘uno’, come aveva creduto sino a quel momento, ma ‘centomila’, nel riflesso delle prospettive degli altri, e quindi ‘nessuno’. 

Questo romanzo, l'ultimo di Pirandello, riesce a sintetizzare il pensiero dell'autore nel modo più completo. L'autore stesso, in una lettera autobiografica, lo definì come il romanzo «più amaro di tutti, profondamente umoristico, di scomposizione della vita».
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