Morì dopo l’intervento, a processo i medici: «Lasciata senza cure»

Vanessa Cella morta dopo tre interventi di chirurgia estetica

Vanessa Cella
Vanessa Cella
di Dario Sautto
Mercoledì 20 Settembre 2023, 23:55 - Ultimo agg. 21 Settembre, 17:11
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Sottoposta a tre interventi di chirurgia estetica in una sola giornata e poi lasciata in clinica senza assistenza né ambulanza. Così sarebbe morta Vanessa Cella, 37enne di Napoli, deceduta il 26 marzo dello scorso anno dopo un drammatico ricovero alla Casa di Cura Santa Maria la Bruna di Torre del Greco. Tre medici sono stati rinviati a giudizio per omicidio colposo, all’esito dell’udienza preliminare che si è celebrata dinanzi al gup del tribunale di Torre Annunziata Emma Aufieri, che ha accolto la richiesta dell’accusa, fissando il processo ai primi di febbraio (giudice monocratico Antonio Fiorentino).


A giudizio sono finiti il direttore sanitario della struttura di Torre del Greco, il chirurgo che operò Vanessa Cella e l’anestesista che faceva parte dell’equipe medica che aveva operato la donna in quel drammatico sabato pomeriggio.

Tra filmati, registrazioni audio e testimonianze, la Procura di Torre Annunziata (procuratore Nunzio Fragliasso, sostituto Marianna Ricci) ha ricostruito l’intera vicenda, concentrando le attenzioni sui tre professionisti che, nel frattempo, non fanno più parte della pianta organica della clinica. In seguito alle risultanze emerse nel corso dell’autopsia, sono diversi gli aspetti e le presunte irregolarità che hanno spinto gli inquirenti a chiedere il rinvio a giudizio dei tre medici.

Il presunto caso di malasanità è scoppiato dopo la denuncia dei familiari di Vanessa che, assistiti dall’avvocato Enrico Ricciuto, presentarono querela ai carabinieri di Torre del Greco. Adesso, solo il fratello ha deciso di costituirsi parte civile, mentre gli altri si rivolgeranno direttamente in sede civile per chiedere i danni a quella che risulta la succursale di una clinica di Napoli. «Al di là degli errori medici – dicono i familiari tramite l’avvocato Ricciuto – il nostro interesse è che emerga l’inadeguatezza della struttura in cui è stata operata Vanessa. Inoltre, affinché si arrivi al più presto ad una sentenza, chiederemo al giudice di calendarizzare le udienze e di far emergere al più presto la verità giudiziaria su questa vicenda». 

Sono 22 le persone inserite nella lista testi dell’accusa, che vuole provare la sua tesi in maniera completa. Nelle prossime settimane, anche i tre imputati avranno la possibilità di presentare una loro lista di testimoni per potersi difendere al meglio. Secondo l’accusa, Vanessa Cella sarebbe morta per un’emorragia interna e non si sarebbe mai risvegliata a causa di mix di farmaci anestetici che le erano stati somministrati prima di subire in rapida successione rinoplastica, mastoplastica e liposuzione.

Tre interventi in poche ore, tra le 12 e le 16,30 di quel tragico sabato. Non ancora sveglia, scrivono i consulenti della Procura, la paziente fu riaccompagnata in stanza verso le 17,50, ma il chirurgo era già andato via alle 17,36, mentre l’anestesista addirittura alle 17,11, nonostante fosse di turno dalle 8 alle 20. Una colpa medica che, secondo gli inquirenti, è «consistita in imprudenza, imperizia e negligenza, violando le linee guida e le pratiche assistenziali». Nessuno avrebbe valutato i parametri vitali della paziente, nessuno si sarebbe accorto dell’emorragia in corso. In pratica la 37enne sarebbe stata abbandonata. L’allarme sarebbe scattato intorno alle 18,40: per provare a rianimarla sarebbe giunto in clinica un altro anestesista, residente più vicino alla struttura, la cui posizione è stata stralciata e archiviata insieme a quella degli altri due chirurghi della clinica Santa Maria la Bruna inizialmente coinvolti. 

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Nel fascicolo sono confluiti alcuni filmati che riprendono come tutti i componenti dell’equipe medica che aveva operato Vanessa si siano allontanati poco dopo aver terminato gli interventi. E ancora, le registrazioni delle tre drammatiche telefonate tra la struttura privata e il 118, a cui era stato chiesto l’intervento per il trasporto della paziente ad un pronto soccorso: secondo Linee Guida dettate dalla Regione Campania, la clinica doveva essere dotata di trasporto privato e rianimatori interni. Dall’ultima telefonata, infine, emerge che la 37enne non rispondeva alle manovre di rianimazione né alle scosse del defibrillatore, dunque era già priva di vita «da almeno mezz’ora», quando – alle 20 – sarebbe avvenuto l’ormai inutile trasferimento a bordo di un’ambulanza privata al pronto soccorso dell’ospedale del mare di Napoli.

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