INVIATO
Antonio Manzo
BRINDISI. «Guardi laggiù» dice il marinaio

INVIATOAntonio ManzoBRINDISI. «Guardi laggiù» dice il marinaio
Mercoledì 31 Dicembre 2014, 03:31
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Antonio Manzo
BRINDISI. «Guardi laggiù» dice il marinaio sulla banchina Costa Morena del porto di Brindisi. Sì, laggiù c'è quella grande macchia grigia della nave San Giorgio che sta per entrare nel porto di Brindisi, la riconosci per quella sagoma contornata dalle luci di bordo. È la nave che porta la disperazione dei sopravvissuti e i corpi di Giovanni Rinaldi, Michele Liccardo e, forse, di Carmine Balzano, l'unico non riconoscibile in foto. Sono napoletane tre delle undici vittime della tragedia, ma il bilancio è ancora provvisorio.
Un destino beffardo, per i tre camionisti napoletani, imbarcati sulla Norman solo per un ritardo. Sono andati in Grecia per caricare il pesce destinato al mercato napoletano del Capodanno. Un lavoro duro e faticoso, il loro, costellato di imprevisti. Imbarcano i camion vuoti per la Grecia, poi li raggiungono in volo da Roma, li caricano e li riportano in patria con il traghetto. Li ha traditi un ritardo. Quello dell'aereo partito da Roma e costretto a rientrare per un'avaria. Sono giunti ad Atene con il volo successivo e tutto ha finito per slittare. Erano in quattro. Un compagno ha fatto in tempo a salire sul traghetto precedente, ed è in Italia sano a salvo. Loro no, loro hanno preso il traghetto che li avrebbe condannati al terrore di un incendio, all'odissea in mare su una scialuppa e poi alla morte. Proprio come i naufraghi di Ulisse, inghiottiti dalle onde di un mare forza 8 quando credevano di aver raggiunto la salvezza e hanno telefonato perfino alla famiglia per dire: «Ce l'abbiamo fatta».
Al terminal del porto è stato allestito un ospedale da campo dove verranno prestati i primi soccorsi ad alcuni passeggeri in condizioni più gravi, due saranno trasferiti all'ospedale di Brindisi. Ma è qui sulla banchina di Costa Morena che i parenti dei sopravvissuti restano in silenzio, in attesa che sbarchino i loro cari, mentre i familiari degli undici morti sono lì nel terminal a piangere. Piove, una pioggia obliqua, tagliente e cattiva cade prima che ricominci a nevicare. In un'automobile è fermo, in attesa che la nave attracchi, Pietro Avolio, l'amministratore della EuroFish, la ditta dei tre camionisti napoletani. Il suo dolore è una litania: «Vogliamo piangere i nostri morti, speriamo ce li riconsegnino presto».
Le famiglie delle tre vittime sono in un albergo di Bari messo a disposizione dal sindaco. Uno dei tre camionisti, Carmine Balzano, ancora ufficialmente disperso perché non riconosciuto, viveva ai Quartieri Spagnoli, aveva ottenuto - dopo un periodo di disoccupazione - un contratto di un mese. Sposato e padre di tre figli, era partito in aereo da Napoli con gli altri. «Abbiamo dei dubbi sulle foto che ritrarrebbero Carmine – dice il fratello della moglie - il corpo era gonfio e tumefatto, non riconoscibile. Mio marito è evangelico, non porta il crocefisso al collo - aggiunge la moglie - come il cadavere che ci hanno mostrato». Alla morsa del dolore si aggiunge così in questa livida giornata di fine anno lo strazio dell'incertezza sulla sorte del congiunto.
La nave militare San Giorgio ora è in porto. I sopravvissuti scendono, abbracciano i familiari in attesa e insieme vengono imbarcati sui bus diretti ad alberghi di Brindisi e Lecce. Più in là, vicino alla nave, ci sono anche i carri funebri per il trasporto delle salme. Sono loro, i tre camionisti napoletani, le prime vittime di una tragedia le cui proporzioni sono destinate a crescere. E le cui vere cause e responsabilità restano tutte da accertare.
«Temiamo di dover contare altre vittime», ha detto il procuratore della Repubblica di Bari, Giuseppe Volpe. I numeri parlano di 179 naufraghi di cui non si conosce la sorte e che risultano dispersi. Resta la speranza che siano a bordo di due mercantili diretti verso la Grecia. Ma le comunicazioni tra una sponda del mare e l'altra sono lente e confuse. Mai come in questa tragedia il Mediterraneo è parso una giungla di misteri e di omissioni. C'è rabbia tra chi è sopravvissuto: «Per 24 ore nessuno ci ha portato neanche una bottiglia d'acqua - racconta un naufrago greco ai cronisti- Per fortuna che sono arrivati i militari italiani. Eravamo - ha aggiunto - intrappolati nel fuoco. Non riuscivano a raggiungerci. È stata una esperienza terribile». «Quella nave - ha detto una donna greca - non era assolutamente adeguata al trasporto di passeggeri. E poi l'allarme è stato dato in netto ritardo, solo quando le fiamme avevano già raggiunto il bar. A bordo era il caos».
Nella tragedia però, si vede anche una luce, quella negli occhi di Maria, una ragazzina dodicenne greca che per ore ha atteso di riabbracciare la madre: «Io - ha raccontato in un inglese impeccabile - sono stata fra le prime a essere messa in salvo. Sicuramente non prenderò mai più una nave ma ora quello che voglio è solo riabbracciare mia madre e dirle che le voglio bene». Nessuno dei naufraghi potrà mai più dimenticare quello che è successo nel mare, in una gelida domenica mattina di dicembre. Ma almeno adesso una parte di loro ha ritrovato l'abbraccio dei familiari, ripreso dalle telecamere di tutto il mondo e immortalato dai flash dei fotografi che per tutta la sera hanno illuminato il terminal del porto di Brindisi.
Ma l'ipotesi che a bordo del relitto devastato ci siano molte altre vittime si fa strada ora dopo ora. Ne sono convinti gli investigatori, perché molti tra i camionisti dormivano nel garage della nave ed è probabile che non abbiano fatto in tempo a fuggire. Se così fosse, l'hangar dei tir sarebbe il cimitero dei dispersi. A Brindisi la San Giorgio è giunta con 214 naufraghi, tra cui il comandante Argilio Giacomazzi, l'ultimo a lasciare la Norman. Una parola in più, non solo per le indagini, ma anche per verificare il numero delle vittime potrebbe venire fuori dalle sue parole. I magistrati lo hanno ascoltato già ieri sera.
Altre quattro salme sono, da l'altro ieri sera, nell'istituto di medicina legale di Bari: si tratta di due greci, un turco e una donna non ancora identificata, sul cui corpo sono stati riscontrati segni di ustioni e bruciature.
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