Nel giorno del nuovo giro di vite, con misure restrittive per bar, ristoranti, sport amatoriali, socialità, eventi, Giuseppe Conte corre a rassicurare il mondo dell’economia e della produzione: «Non ci sarà un nuovo lockdown generalizzato». Un segnale, mentre l’epidemia ha ripreso a correre da dieci settimane, che serve anche per disinnescare i primi accenni di protesta sociale: il premier e l’intero governo sanno bene che, rispetto a marzo scorso, per i cittadini sarebbe difficilmente sostenibile tornare a essere rinchiusi in casa. A palazzo Chigi monitorano con attenzione i social e, come dice una fonte che segue il dossier, «questa volta si rischierebbe la rivolta sociale, a fronte di una stretta generalizzata».
«Escluderei un secondo lockdown generalizzato, lo diciamo a ragion veduta», è stato l’esordio di Conte a Taranto che già nei mesi scorsi aveva negato la possibilità che si possa decidere un nuovo blocco delle attività produttive.
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I timori riguardano un nuovo brusco stop ai timidi segnali di crescita e alla sostenibilità di una nuova stretta sociale. Una preoccupazione fatta propria anche dall’Ufficio Parlamentare di Bilancio, che ha parlato di «conseguenze non trascurabili sia sul ciclo economico sia sulla struttura produttiva, già colpita dalla passata recessione» in caso di nuove chiusure. E poi ci sono gli industriali che un altro lockdown non lo prendono nemmeno in considerazione. «Per questioni economiche, ma anche per questioni di prospettive sul futuro», ha chiarito il presidente Carlo Bonomi. Insomma, il problema non è più nemmeno quanto costi all’economia la chiusura generalizzata (tra i 9 e i 12 miliardi a settimana secondo le stime), ma piuttosto la tenuta del sistema produttivo. Non è detto che le imprese riescano a rialzarsi da un nuovo lockdown, con effetti devastanti sulla tenuta dell’occupazione.
Ma soprattutto il solo parlare di nuove chiusure rischia di rallentare la ripresa minando la fiducia. Ieri l’Istat ha fatto notare come il reddito delle famiglie sia sceso del 5,8%, ma i consumi dell’11,5%, mentre i risparmi sono balzati di oltre il 18%. La paura non fa spendere, dunque bisogna allontanare anche il solo timore di un nuovo blocco. Anche perché per il governo non sarebbe facile affrontarne le conseguenze sui conti pubblici. Per fronteggiare il primo lockdown il Tesoro ha dovuto finanziare interventi per 100 miliardi di euro tra Cassa integrazione, sostegni alle imprese e alle famiglie. Il debito quest’anno schizzerà al 158% del Pil e per ora è sostenuto soprattutto dagli interventi della Bce. Oltre alle imprese rischia di avvitarsi anche lo Stato.
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Tant’è, che è un coro il “no” al lockdown. Ecco il commissario agli Affari economici, Paolo Gentiloni: «Le misure di contenimento del coronavirus devono essere proporzionate per costruire fiducia». Ed ecco i presidenti di Regione che hanno ribadito il loro allarme durante la riunione della cabina di regia a palazzo Chigi: «Sì alla misure mirate per evitare assembramenti, ma bisogna intervenire salvaguardando il più possibile sia le attività economiche che quelle sociali», ha detto il presidente dell’Emilia Romagna, Stefano Bonaccini.
Sulla stessa linea il governatore ligure, Giovanni Toti, e quello lombardo Attilio Fontana: «La priorità è salvaguardare la salute, ma in modo da non incidere eccessivamente sulla nostra economia, che non può permettersi un altro stop». E il sindaco milanese Beppe Sala: «Bisogna trovare una formula equilibrata che permetta di garantire la salute e alle famiglie di andare avanti».