Fotografo perugino morto a Tokyo, l'ultimo video dal ponte e la rabbia: «Non sono matto»

Fotografo perugino morto a Tokyo, l'ultimo video dal ponte e la rabbia: «Non sono matto»
di Luca Benedetti
Lunedì 21 Novembre 2022, 10:15 - Ultimo agg. 11:02
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Resta un mezzo giallo la morte di Gianluca Stafisso, 56 anni, per due anni la casa sotto un ponte a Tokyo. L’ha trovato morente un impiegato dell’ufficio regionale per i servizi dell’immigrazione. Folgorato con un cavo della tv, hanno raccontato i giornali giapponesi. S’indaga per sospetto suicidio. Almeno questo fanno trapelare le autorità giapponesi in contatto con l’ambasciata italiana Tokyo. Dovrebbe essere disposta l’autopsia per sciogliere gli ultimi dubbi sulla fine del fotografo e designer nato a Perugia con ultima residenza italiana Castelnuovo di Assisi. Ma fino a ieri pomeriggio la Farnesina non aveva ancora la conferma né che l’esame autoptico fosse stato disposto e né tantomeno effettuato. Stafisso è morto in ospedale dopo essere stato trovato a terra nella cella dove era rinchiuso in stato di fermo dal 25 ottobre. In quella cella l’italiano era solo.
Solo 5 giorni prima di essere fermato e portato al centro di Shinagawa, il fotografo e designer aveva girato uno dei tanti video per raccontare la sua vita sotto al ponte. E aveva raccontato di una pulizia della riva del fiume, quattrocento metri di sterpaglie rimesse in ordine: 400 metri di erbacce tagliate. In un altro video aveva inventato una canzone sulla sua disavventura sulle note di 29 Settembre di Lucio Battisti. Con tanto animazione di lui che cantava. Insomma, per denunciare l’assurda situazione in cui si era trovato, sfruttava la meglio le sue doti di fotografo e designer
Spesso in quei video tornava la vicenda delle sue difficoltà mentali che sarebbero state certificate dalle autorità giapponesi. Certificato finito anche in una video con tutti i suo documenti in cui si vede anche una tessera dell’Associazione nazionale fotografi professionisti. «Non sono pazzo. Anzi, sono pazzo per l’Italia», era il passaggio di una sua registrazione sempre sotto al Mutsumi Bridge a Fussa City, dove ha ripreso la neve e il caldo torrido lasciando intendere di avere una sorta d’intesa per stare là sotto a un chilometro dalla casa dove ha vissuto per 17 anni.
Stafisso già nel 2005 aveva richiesto asilo alle autorità giapponese. E nel 2008, ricostruendo la storia dai suoi video, è era sposato con una donna giapponese. E proprio il comportamento di quella donna sarebbe stato il motivo dei guai di Stafisso che sono diventati un’odissea documentati in più di 20 video.
Nato a Perugia nell’aprile del 1966, Stafisso aveva come ultima residenza quella di Castelnuovo, nella case popolari di piazza del Lavoro, in quell’appartamento dove è morta l’anziana madre. La sua battaglia inizia quando la polizia giapponese fa irruzione in casa e lo tiene in cella per 21 giorni, con la luce accesa. Almeno lui raccontava così. Una situazione legata al fatto che la moglie non ha mai versato 12 anni di contributi al Japan national Pension Fund. Una situazione che lo ha portato a essere considerato un immigrato non in regola nonostante le sue richieste, almeno tre, di richieste per essere messo in regola. In uno dei suoi appelli Stafisso chiedeva di poter avere cibo decente in scatola. E anche soldi.
Soldi che secondo il racconto di una vicina di casa a Castelnuovo di Assisi, spesso le inviava l’anziana madre Giovanna. Anche sulla morte e sulla situazione della mamma Stafisso ha lasciato traccia nei suoi racconti on line lanciando accuse anche alle autorità italiana a Tokyo.
L’ambasciata, intanto, ha contattato il figlio che Stafisso ha avuto da giovanissimo ad Assisi tenendolo informato di quello che stanno facendo oer autorità giapponesi per chiudere definitivamente il caso della morte del fotografo che adesso è indicata come un suicidio.

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