Caselli: «La crisi di liquidità nutre le mafie»

Caselli: «La crisi di liquidità nutre le mafie»
di Rita Annunziata
Lunedì 14 Settembre 2020, 12:33 - Ultimo agg. 15 Settembre, 08:38
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Fatturati al minimo, casse integrazione, stime a ribasso del prodotto interno lordo. Dopo aver superato i mesi più caldi della pandemia l’Italia cerca il barlume di una ripartenza, ma il tessuto imprenditoriale boccheggia e la fiducia dei consumatori stenta a decollare. Secondo il Rapporto Coop 2020 – Economia, consumi e stili di vita degli italiani di oggi e domani, il 38% degli italiani crede di dover fronteggiare seri problemi economici nel 2021 e, tra questi, il 60% teme di dover mettere mano ai propri risparmi o a quelli della propria famiglia. Mentre i ricchi dell’upper class si attendono addirittura un’eredità positiva della crisi epidemiologica sui propri redditi, a soffrirne sono specialmente le classi più fragili. Ed è in questa debolezza che la mano invisibile della criminalità organizzata potrebbe trovare una nuova fonte di sostentamento.

L’ultimo studio dell’Organismo permanente di monitoraggio e analisi sul rischio di infiltrazioni mafiose nell’economia costituito presso la direzione centrale della Polizia criminale ha evidenziato come tra il 1° marzo e il 10 maggio il lockdown abbia determinato una contrazione generale dei reati commessi del 61% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, tra furti (-74%), rapine (-63%), traffico illecito di rifiuti (-70,8%), stupefacenti (-28%) e non solo. Parallelamente, però, l’attenzione della criminalità organizzata sembra essersi direzionata verso un ampio ventaglio di settori produttivi e commerciali, dal turismo alla ristorazione, dal settore sanitario alla gestione di impianti sportivi e palestre. Per non dimenticare poi il rischio legato all’acquisto dei crediti deteriorati delle imprese e il fenomeno dell’usura, incentivato in alcuni casi proprio dal “sovraindebitamento”. Quale sarà, in definitiva, l’impatto della pandemia sulla criminalità organizzata? A fare luce sulle dinamiche che coinvolgono quella che viene definita la “nuova mafia” concorre Gian Carlo Caselli, direttore dell’Osservatorio Coldiretti sulle Agromafie, presidente onorario di Libera ed ex procuratore di Palermo e Torino.

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L’attuale crisi economica potrebbe rappresentare un terreno fertile per il racket e l’usura?
«Già prima della pandemia la “nuova” mafia, invece di “limitarsi” a taglieggiare il proprietario del supermercato o dell’autosalone, cercava più semplicemente di diventarne socia o di rilevarne in toto l’attività (spesso dopo averla spolpata a colpi di estorsioni o strozzinaggi), procurandosi sempre nuovi canali “puliti” per il riciclaggio. Ora è drammaticamente evidente che il covid-19 stia causando – oltre ai danni devastanti alla qualità della vita e alla salute delle persone – uno shock economico-finanziario di proporzioni gigantesche: fatturati al minimo, cassa integrazione e altre doverose indennità in crescita esponenziale, onerosi  bonus sociali per poter tirare avanti, debito pubblico faraonico, pil in caduta verticale. Molte attività che la pandemia sta mettendo in ginocchio rischiano di chiudere o faranno una gran fatica a riprendersi. Si aprono così nuove opportunità per i mafiosi che hanno nel loro DNA di sciacalli-avvoltoi la specialità di ingrassare speculando su sofferenze e disgrazie altrui. Uno scenario già di per sé cupo potrebbe persino tracimare in catastrofe, con la prospettiva di incrementare ulteriormente le attività collegate al racket e all’usura».

Di fronte alle difficoltà oggettive di accesso al credito, dunque, la criminalità organizzata finisce per sopperire la sete di liquidità delle imprese italiane. Come arginare questa problematica?
«Partiamo da una constatazione: le mafie ogni giorno accumulano una barca di soldi grazie alle loro attività illecite (traffici di droga, armi, esseri umani, rifiuti tossici, gioco d’azzardo, pizzo, usura, appalti truccati). Una liquidità che non conosce mai crisi e che assicura vantaggi no­tevoli all’operatore economico mafioso o legato alla mafia rispetto all’imprenditore “pulito”. Il mafioso, ricco di suo per il flusso potente e continuo di proventi criminali, non deve andare in banca a farsi prestare soldi né deve sperare in contributi istituzionali per sopravvivere (anche se cercherà appena possibile di intercettarne in ogni modo quanto più possibile).  In questa stagione di crisi economica e in particolare di liquidità, questo rappresenta un vantaggio non da poco. In sintesi, si tratta di una situazione che facilita la progressiva emarginazione degli imprenditori onesti, a volte fino ad espellerli. È evidente allora che, forte di un’imbattibile concorrenza sleale che destabilizza il mercato, l’economia illegale da tempo sta sempre più inquinando l’economia pulita, con gravi conseguenze. In Italia e non solo. Conseguenze che purtroppo il covid è destinato a incentivare in misura esponenziale, finché non saranno pienamente operativi tutti i cosiddetti “bazooka” economico-finanziari deliberati o previsti nel piano nazionale ed europeo».

Secondo una recente analisi di Coldiretti, l’agroalimentare rappresenta oggi una delle principali aree di investimento della malavita. Dall’agricoltura all’allevamento, dalla distribuzione alimentare alla ristorazione, il giro d’affari sfiora i 24,5 miliardi. Quali sono le ragioni dietro questo fenomeno?
«Le mafie sono “attirate” dal settore agroalimentare perché offre loro importanti opportunità.  La combinazione di due fattori, vale a dire possibilità di guadagnare e rischi minimi (posto che la normativa vigente offre agli agromafiosi la stessa resistenza che il burro oppone ad una lama), è una combinazione vincente che gli effetti nefasti della pandemia possono decisamente rafforzare.

Di qui la necessità assoluta, ormai ineludibile, di una normativa al passo coi tempi. Il 25 febbraio il Consiglio dei ministri (su proposta dei titolari della Giustizia e dell’Agricoltura, Alfonso Bonafede e Teresa Bellanova) ha approvato un d.d.l. per la riforma dei reati agroalimentari. Un’iniziativa importante, anche per disegnare un futuro migliore dopo il coronavirus.  La riforma vuol creare un diritto penale della “vita quotidiana”, capace di accompagnare il consumatore dal campo allo scaffale alla tavola, rafforzandone la fiducia con un’etichetta “narrante” che riveli con precisione tutto ciò – origine, filiera e contenuto –  che si deve sapere per non comprare un cibo diverso da quello che si vuol far credere. La speranza è che il confronto parlamentare si avvii al più presto e che non prevalga chi preferisce le resistenze corporative a un’onesta e trasparente collaborazione per il bene comune. La posta in gioco è alta: salute e sicurezza alimentare dei cittadini, insieme alla correttezza di funzionamento del settore, senza penalizzazioni per gli operatori onesti (che sono la stragrande maggioranza) e privilegi per gli agromafiosi».

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