Precari ko, crollati i contratti di collaborazione

Precari ko, crollati i contratti di collaborazione
di Gigi Di Fiore
Sabato 30 Novembre 2013, 20:11
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Il precariato ai tempi della crisi. Neanche l’instabilit, neanche l’incertezza di un contratto e di un rapporto di lavoro reggono all’urto di un’economia che crolla. L’amara constatazione targata Istat: nel terzo trimestre di quest’anno, non solo la disoccupazione giovanile salita al 41,2 per cento, ma il lavoro precario diminuito dell’8,8 per cento in un anno.



Significa che i dipendenti a tempo determinato e i collaboratori tra imprese e pubblica amministrazione sono ora due milioni e 624mila. Ben 253mila sono ora più precari dei precari. Disoccupati.



Commenta la responsabile Lavoro del Pd, Cecilia Carmassi: «Si incrementa lo scoraggiamento alla ricerca di un lavoro. I numeri ci indicano una maggiore fragilità e disagio tra i giovani e i lavoratori precari». Eppure, la riforma Fornero doveva aiutare gli incerti nel rapporto di lavoro a renderlo stabile. Non è stato così. Secondo uno studio dell’istituto di ricerca Isfol, in un anno si è assistito ad un calo netto dei contratti di collaborazione: meno 9,2 per cento. Diminuito anche il lavoro intermittente, vale a dire quello a tempo determinato sospeso per poi essere riattivato: meno 22 per cento. Se, poi, nei primi tre mesi del 2012 i contratti a tempo determinato erano 445mila, a fine anno sono scesi a 430mila.



Non c’è settore che si salvi dall’instabilità. Non esistono isole felici nel panorama regionale italiano. Ovunque, la precarietà regna sovrana. I sogni spezzati imperano. Soprattutto nelle attività ad alto tasso di preparazione ed istruzione. Pierpaolo Giordano, 39 anni, ha un contratto di tecnico all’Ispra, l’Istituto di ricerca ambientale, da ben 12 anni. Solo i nomi dei suoi contratti sono cambiati, lasciando la sostanza della precarietà: occasionale, collaborazione coordinata, tempo determinato.



Racconta: «Il gruppo cui appartengo si occupa di emergenze in mare, sono stato consulente tecnico anche all’isola del Giglio per l’incidente della Costa Concordia. Vado avanti di proroga in proroga, con un profondo senso di umiliazione per il mancato riconoscimento dell’attività finora svolta».



Nel mondo della ricerca, il 22,4 per cento di chi vi lavora ha un contratto a tempo determinato. Sono più di 4600 persone, che vivono anche una situazione paradossale per il blocco del turn over negli enti. Laura Turco, 45 anni, è da 15 precaria all’Istituto superiore della Sanità. Spiega: «Avverto il peso di non sentirmi libera. Per comprare una casa, ho dovuto chiedere a mio fratello di fornire garanzie alla banca».



All’Università non è diverso. Simona, 42 anni, beneventana di nascita, riceve di anno in anno la conferma del suo contratto di ricercatrice a tempo. Lavora alla facoltà di economia a Napoli, ha al suo attivo più pubblicazioni. Dice: «Pago un affitto nel centro storico di 600 euro, in una casa piccolissima. Per fortuna, ho alle spalle ancora fratelli e genitori. Ma avverto sempre un senso di impotenza e di incapacità a programmare la mia vita. Da poco, ho tentato un concorso in Veneto. Speriamo bene».



Se ci si sposta nel settore beni ambientali, la realtà non cambia. Archeologi, storici dell’arte, bibliotecari, archivisti, restauratori, architetti, antropologi sono spesso a contratto da 5 euro lordi l’ora. E gli insegnanti delle scuole? Ancora peggio. In questo caso, il precariato si proroga di anno in anno per decenni. Ben 120mila sarebbero gli insegnanti in questa situazione, a caccia di una cattedra stabile. Gianluigi Dotti, responsabile del Centro studi del sindacato Gilda, spiega: «In organico ci sono 609mila docenti, per una mancanza di cattedre tra le 20 alle 30mila». Gli ultimi concorsi non hanno migliorato la situazione. Maria è una delle maestre napoletane precarie che ogni anno attende il contratto per la scuola materna. Racconta: «A settembre conosciamo il nostro destino, il Comune ha difficoltà a stabilizzare la nostra posizione per la spending review. I bambini, però, all’asilo ci vanno ed è questo uno dei servizi essenziali di una società evoluta».



La casa, una convivenza, dei figli: programmare questi passaggi nella propria esistenza non è facile. Molti hanno davanti, per il momento, solo una vita da precario. Le aziende private tagliano gli occupati e ricorrono alla cassa integrazione. Figurarsi se i collaboratori, o gli occupati a tempo li stabilizzano. Il contrario. Gianni, 46 anni, è un operaio specializzato di una piccola azienda campana metalmeccanica. Sintetizza la sua storia: «Avevo un lavoro stabile, poi la mia precedente azienda ha chiuso. Dopo la cassa integrazione, mi sono ritrovato disoccupato. Tra lavori incerti, ho ottenuto una collaborazione. Ma non ce la faccio con quello che guadagno. Ho due figli e una moglie casalinga. Ci siamo dovuti trasferire dai miei suoceri per vivere».



L’ultima critica alla riforma Fornero è arrivata dall’Ocse, l’Organizzazione per la cooperazione e di sviluppo economico. Con il metodo contributivo e l’assenza di lavoro a tempo indeterminato i precari di oggi diventeranno i vecchi indigenti di domani, sostiene l’Ocse. Spiegando: «I lavoratori con carriere intermittenti, attività precarie e mal retribuite sono più vulnerabili al rischio di povertà».



Con la legge Fornero le imprese avrebbero dovuto avere incentivi ad assumere a tempo pieno. Invece, hanno tagliato anche le assunzioni a tempo. I dati del ministero del Lavoro sull’ultimo trimestre dello scorso anno indicano 640mila licenziamenti, con diminuzioni dei contratti flessibili del 24,3 per cento. Deludente anche l’apprendistato: solo il 2,5 per cento. Dice Lisa, 30 anni, commessa in un negozio di abbigliamento napoletano: «Nel periodo natalizio fui assunta con la formula dell’apprendistato. È durato giusto il tempo dei due mesi di piccolo incremento vendite. Ho perso subito il lavoro».



In questa realtà, sembra quasi una battuta il cartello fotografato su una vetrina del centro storico napoletano: «Assumiamo apprendisti con esperienza». Un controsenso, ma fa capire che, se è possibile solo un contratto precario, viene preferito chi ha già precedenti esperienze lavorative. Ed è tutta una contraddizione.
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