Autonomia, caos fondi. Soldi extra per il Nord con la ripartizione Irpef alle Regioni

Il piano per dirottare sui propri territori il gettito delle tasse oggi gestito dallo Stato

Autonomia, caos fondi. Soldi extra per il Nord con l’Irpef alle Regioni
Autonomia, caos fondi. Soldi extra per il Nord con l’Irpef alle Regioni
di Andrea Bassi
Giovedì 2 Febbraio 2023, 00:10 - Ultimo agg. 10:00
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Per l’autonomia arriva il d-day. Il giorno del sì. La legge “quadro” che darà il via alla devoluzione di competenze e risorse alle più ricche Regioni del Nord sta per partire. Un processo che porterà a cedere al Veneto e alla Lombardia ben 23 competenze che oggi appartengono allo Stato. Il testo rimane controverso ed è ancora oggetto di trattative all’interno della maggioranza e dopo l’approvazione in cdm dovrà essere esaminato in Conferenza unificata. Ma per le Regioni del Nord, che nel 2017 hanno proclamato i referendum autonomisti con il dichiarato intento di tenere sui propri territori il gettito delle tasse pagate dai propri cittadini, l’obiettivo rimane comunque a un passo. Secondo le loro stesse stime, veneti e lombardi verserebbero ogni anno allo Stato centrale 83 miliardi di tasse in più rispetto a quanto ritorna nelle due Regioni sotto forma di “spesa dello Stato”. Conti più volte contestati, perché non tengono conto della spesa per le pensioni (quella per il Nord è più alta rispetto al Sud, e l’eventuale riforma di quota 41 non farà che accentuare il divario) e degli interessi sul debito pubblico, come se questo non fosse comune a tutto il Paese. Ma tant’è. L’obiettivo finale di sottrarre soldi allo Stato centrale e trattenerli in Veneto e Lombardia era stato certificato nelle pre-intese del 2019 negoziate dalle due regioni. Cosa sarebbe andato esattamente a Veneto e Lombardia? Un pezzo dell’Irpef. Una compartecipazione al gettito maturato nel territorio o una riserva di aliquota che copra la spesa per le funzioni trasferite dallo Stato alle Regioni. Questo non è cambiato nemmeno con la legge quadro. Un esempio. Secondo i conteggi trasferire la gestione dell’istruzione, con il corollario di 200 mila insegnanti, a Veneto e Lombardia, comporterebbe un trasferimento di costi di 6 miliardi. Per compensare queste spese, lo Stato dovrebbe rinunciare a una certa percentuale dell’Irpef a favore delle due Regioni.Ma cosa accade, è la domanda, se negli anni il gettito dell’Irpef aumenta e la spesa per la scuola si riduce perché magari si riducono gli alunni, oppure resta stabile o aumenta a un ritmo inferiore a quello dell’Irpef? A chi andrebbe il gettito extra, allo Stato o alla Regione? Nelle vecchie intese del 2019 la risposta era chiara: alla Regione. Un meccanismo che lascerebbe sui territori più ricchi del Paese sempre più risorse aumentando le distanze con chi invece è più indietro. E impoverendo lo Stato. La legge quadro che sarà approvata oggi cambia questa impostazione? Poco. Conferma le compartecipazione e le riserve di aliquota, ma inserisce come unico paletto il rispetto delle norme statali sulla copertura delle leggi di spesa: non posso trasferirti più di quanto spendi. Ma è un vincolo che può valere per il primo anno, poi il gettito e la spesa avranno un loro andamento. L’altra faccia della medaglia è come sarà determinata la spesa. Ovviamente più la quantificazione è alta, più risorse lo Stato dovrà trasferire alle Regioni. Veneto e Lombardia volevano partire usando il parametro della spesa storica, vantaggioso per loro. Ogni riferimento sulla spesa storica è stato cancellato dalla legge quadro. Ma il testo che arriverà oggi in consiglio dei ministri, prevede comunque che le procedure di quantificazione saranno «individuate dalle singole intese» dopo la determinazione dei Lep (i livelli essenziali dei servizi) e dei relativi costi e fabbisogni standard. 

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IL MECCANISMO

Funzionerebbe cioè così: ti dico il tipo di servizio che devi erogare (il Lep), quanto deve costare (il costo standard) e a quante risorse hai diritto per erogarlo (il fabbisogno standard).

Un meccanismo simile a quello oggi applicato per la spesa sanitaria. In questo caso il “fabbisogno standard” è calcolato usando come parametro la popolazione e l’età. Il presupposto è che più anziani ci sono in una Regione, più la spesa sanitaria è alta. In una delle bozze delle pre-intese di Veneto e Lombardia, invece, era addirittura previsto che per i fabbisogni standard dell’autonomia differenziata, il parametro avrebbe dovuto essere la «popolazione residente» e «il gettito dei tributi maturati nel territorio regionale in rapporto ai relativi valori nazionali». Tradotto: ho diritto a più soldi perché sono più ricco e pago più tasse. Anche qui val la pena porsi la domanda se la legge quadro è scritta in modo tale da fare in modo che un rischio del genere sia escluso da ogni tipo di trattativa. Difficile dirlo. «Le risorse umane, strumentali e finanziarie necessarie per l’esercizio da parte delle Regioni di ulteriori forme e condizioni di autonomia», spiega il testo, «sono determinate da una Commissione paritetica Stato-Regione, disciplinata dall’intesa». Il cuore dell’autonomia, la questione finanziaria, insomma, si discute fuori dalle aule parlamentari. Citare le vecchie pre-intese non è un esercizio di stile. La legge quadro dice che l’esame di quegli atti «prosegue». Come nel gioco dell’Oca si torna sempre alla casella di partenza. 

Istruzione, stipendi più alti per attrarre i professori

Una delle principali richieste di Veneto e Lombardia riguarda l’istruzione. Le due Regioni hanno difficoltà a coprire le cattedre. Hanno bisogno di attrarre e di trattenere professori e dirigenti scolastici nei loro territori. L’idea di fondo è creare dei “ruoli regionali”. Dare la possibilità cioè, a chi decide di trasferirsi in Veneto o in Lombardia, di poter diventare, su base volontaria, un dipendente regionale e non più dello Stato. Questo passaggio permetterebbe anche di utilizzare la leva “monetaria” per incentivare questi passaggi. L’altra faccia della medaglia è che una politica di questo tipo, tenderebbe ad acuire le distanze nella qualità dell’istruzione tra le varie aree del Paese, tra quelle più ricche, in grado di pagare di più i propri insegnanti, e quelle meno ricche destinate ad avere una scuola meno performante. La Commissione Caravita, incaricata dal governo di effettuare un lavoro preparatorio in vista della legge Quadro, aveva suggerito di escludere la scuola dalle materie “devolvibili” alle Regioni. La legge quadro non lo fa. 

Energia, babele di regole con in corso la guerra del gas

Nel lungo elenco di 23 competenze che le Regioni possono chiedere allo Stato di gestire, ci sono anche la «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia». Quasi un ossimoro. Una contraddizione in termini. Spacchettare quello che per definizione dovrebbe essere gestito unitariamente, come un gasdotto o un elettrodotto. Le Regioni potranno decidere le procedure di Via, le valutazioni di impatto ambientale, se autorizzare nuove ricerche ed esplorazioni, persino se trattenere gettito sul territorio, come aveva fatto il Veneto nelle pre-intese del 2019, dove aveva ottenuto di poter trattenere gli incassi delle accise del rigassificatore Lng Adriatic, il più grande in Italia, in grado di fornire al Paese 9 miliardi di metri cubi l’anno. Se ogni Regione potesse avere competenze della rete “nazionale”, di nazionale resterebbe davvero ben poco. Ci sarebbe una babele di regole in grado di bloccare qualsiasi investimento e qualsiasi progetto. Con l’aggravante che siamo in piena crisi del gas. 

Servizi, promesse sui Lep ma per ora niente risorse

Il termine Lep è citato molte volte all’interno della legge quadro. Si tratta dei livelli essenziali delle prestazioni, i servizi che devono essere garantiti in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale. C’è la promessa che l’autonomia differenziata non partirà se non saranno definiti. Ma su dove trovare poi i soldi per colmare i divari l’incertezza è grande. Si dice genericamente che saranno finanziati «dalla legge». Già, ma chi paga? E come? Serviranno risorse ingenti. Si aumenteranno le tasse o si taglieranno le spese? Ma nella legge quadro si dice anche che l’autonomia e le intese non devono comportare maggiori oneri per le casse dello Stato. Pagheranno le Regioni più ricche con trasferimenti a quelle “sottofinanziate”? Difficile che possa accadere. La questione finanziaria resta uno dei grandi enigmi del progetto autonomista. In che modo cioè si possa ottenere la botte piena (servizi migliori in tutte le Regioni) e la moglie ubriaca (nessun costo aggiuntivo). A meno che i Lep non siano definiti al ribasso. 

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