Crac Amato, dopo la condanna l'ex deputato Del Mese si difende: «Io, innocente, lotterò fino a Strasburgo»

Dopo che la sentenza per il Crac Amato è diventata definitiva, l'ex politico Paolo Del Mese decide di rivolgersi alla Corte di Strasburgo

Paolo Del Mese e i suoi legali, Paolo Toscano e Massimo Torre
Paolo Del Mese e i suoi legali, Paolo Toscano e Massimo Torre
di Viviana De Vita
Sabato 10 Giugno 2023, 06:50 - Ultimo agg. 08:23
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«Non è finita qui: sono abituato a combattere e, ora, comincia una battaglia ancora più dura e complicata. Con i miei avvocati verificheremo fino in fondo tutte le possibilità e faremo tutto quello che c’è da fare». Dopo la sentenza della Cassazione che ha confermato la condanna a 4 anni di reclusione, per l’ex deputato Paolo Del Mese, indiscusso protagonista della vicenda legata al crac Amato, non è ancora stata scritta la parola fine.

«Sono rispettoso delle norme ma la giustizia non è quella delle aule di tribunale. La sentenza pronunciata dagli ermellini era in un certo senso scontata poiché tra i tre gradi di giudizio è come se si fosse instaurata una certa “solidarietà” che diviene incomprensibile poiché tutti gli elementi portati nel processo dimostrano la mia innocenza. Quello erogatomi dagli Amato era un prestito a tutti gli effetti che, io, avevo già restituito all’80%. Cosa c’entro con la bancarotta?» Paolo Del Mese è infatti finito nel processo sul crac dello storico pastificio salernitano, dichiarato fallito nel luglio 2011, per un debito, contratto con gli Amato, ammontante a circa 700mila euro che, per la Procura, rappresenterebbe la ricompensa per l’interessamento del politico al fine di fare ottenere delle agevolazioni bancarie alla famiglia Amato e che, invece, per l’imputato non sarebbe altro che un prestito a titolo personale.

Quei soldi furono sì prelevati dalle casse della società Amato ma Del Mese, che restituì la somma di 580mila euro, ha sempre affermato che avrebbe estinto l’intero debito. 

Diversa, invece, la tesi della Procura secondo cui Del Mese - presidente della Commissione finanze dal giugno 2006 all’aprile 2008 quando varò il cosiddetto “decreto salva banche” - poteva vantare un «forte potere contrattuale nei confronti dell’intero ceto bancario nazionale» e, proprio in virtù di quel potere, avrebbe fatto da tramite per i finanziamenti necessari affinché Amato Re acquistasse dall’Amato spa l’ex pastificio di Mercatello.

E ancora, sempre secondo la Procura, sarebbe stato lui a far concedere all’Amato da un pool di banche 20 milioni di euro per la riqualificazione firmata dall’archistar francese Jean Nouvel. Paolo Del Mese, dal suo canto, ha sempre affermato di non essere a conoscenza, al momento dei fatti, delle difficoltà economiche degli Amato, ma la sua tesi non ha convinto gli inquirenti che a lui ascrivono il ruolo di “tangentista” del pastificio nell’ambito di un «sistema» ipotizzato dalla Procura ben strutturato e che avrebbe portato alla sottrazione, nel corso degli anni e in assenza di valide ragioni economiche, di ingenti disponibilità economiche dal patrimonio della fallita Amato spa, per un valore di circa 100 milioni di euro. 

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«Se avessimo ritenuto Paolo Del Mese colpevole - afferma l’avvocato Massimo Torre, legale dell’imputato insieme ai penalisti Emiliano Torre e Paolo Toscano - avremmo adottato una scelta processuale diversa e avremmo concluso il procedimento con un patteggiamento evitando così il processo. Attendiamo la motivazione degli “ermellini” e siamo pronti a ricorrere a Strasburgo poiché ci sono dei precedenti che ci danno ragione». La sentenza della Corte di Cassazione è arrivata giovedì sera quando i giudici hanno respinto i ricorsi dei legali degli imputati rendendo così definitive le condanne già pronunciate nell’aprile dello scorso anno dai giudici della Corte d’appello del tribunale di Salerno. Quattro anni di reclusione è la pena comminata a Paolo Del Mese, punto di riferimento in provincia di una delle correnti dell’ex Dc, e tre anni quella inferta ad Antonio Anastasio (assistito dall’avvocato Antonio Boffa) accusati il primo di avere incassato “prestiti non onerosi” che il cavaliere Giuseppe Amato, legato a lui da vecchia amicizia, gli avrebbe erogato dalle casse aziendali quando il pastificio era già sull’orlo del dissesto e il secondo di aver contribuito al crac dell’azienda pastaia ricevendo prestiti immotivati, senza interessi né garanzia di restituzione. 

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