Ricigiliano, undici scosse dall'inizio dell'anno: «Ma è un fenomeno frequente»

Zona ad alto rischio terremoti, Di Vito (Ingv): percezione accentuata perché avvengono in superficie

Ricigliano, epicentro dei terremoti
Ricigliano, epicentro dei terremoti
di Mariagiovanna Capone
Domenica 18 Febbraio 2024, 05:45
4 Minuti di Lettura

Undici scosse dall’inizio dell’anno, tutte con lo stesso epicentro. A Ricigliano, piccolo comune del salernitano ai confini con la Basilicata, sale l’apprensione per il ripetersi di questi eventi sismici che, nonostante la magnitudo contenuta, sono distintamente avvertiti dalla popolazione essendo molto superficiali. I timori vanno al terremoto del 1980 ma va detto che le scosse attuali hanno raggiunto la magnitudo massima di 3.9, e non hanno provocato danni poiché le abitazioni sono state ricostruite secondo i più moderni criteri antisismici, come chiarito dal sindaco Giuseppe Picciuoli. Cosa sta succedendo, quindi da un mese a questa parte in quest’area della Campania? C’è una connessione con il terremoto dell’80?

Ricigliano cade nella zona di massima pericolosità sismica è infatti classificata Zona 1 secondo la mappa del Servizio Sismico del Dipartimento di Protezione civile, ossia «la zona più pericolosa. La probabilità che capiti un forte terremoto è alta». Con essa tutta una serie di comuni limitrofi, dall’Irpinia alla Lucania, dove pure stanno avvenendo molte scosse. Storicamente, infatti, l’area è stata colpita da terremoti molto violenti come quelli del 1561 (magnitudo 6.3 e 6.7), 1694 (magnitudo 6.7) e 1980 (magnitudo 6.9).

Negli ultimi 90 giorni ci sono state 46 scosse di bassa energia lungo la stessa faglia; con epicentro Ricigliano sono state 13, ma se aggiungiamo anche quelle con epicentro a Muro Lucano (7) e Balvano (1), che sono praticamente attaccate, arriviamo a 21 scosse. Se ampliamo l’arco temporale all’ultimo anno, invece, in totale ci sono state ben 226 in tutto. È evidente, quindi, che l’area non è affatto estranea ad attività sismiche.

Due i terremoti più forti di Ricigliano: quelli del 28 gennaio e del 10 febbraio entrambi di magnitudo 3.9 e a una profondità di appena 3 chilometri e per questo motivo avvertiti perfino a Potenza, Salerno e Avellino. La faglia interessata è in entrambi i casi di tipo estensionale, secondo il meccanismo di sorgente sismica ricostruito dall’Istituto di Geofisica e Vulcanologia ovvero un tipo in cui il blocco di roccia si muove prevalentemente verso il basso per via della gravità, tipico delle faglie appenniniche e, nel nostro caso, della faglia del terremoto di 43 anni fa. «Si tratta della porzione più meridionale dello stesso sistema di faglie del terremoto del 1980» precisa Mauro Antonio di Vito, direttore dell’Osservatorio Vesuviano dell’INGV, che conosce bene l’area anche perché originario della provincia di Potenza. «Terremoti lungo questo sistema avvengono frequentemente, la superficialità accentua la percezione. Va detto, però che le case del 1980 non sono quelle di oggi, così come la conoscenza della popolazione di protezione civile. Inoltre la rete sismica che abbiamo oggi non è neanche paragonabile a quella del 1980, e i dati che elaborerà l’Istituto ci forniranno informazioni più approfondite su quanto sta accadendo».

Video

Più strumenti registrano, meglio è. Nei primi momenti e nei giorni successivi al terremoto del 23 novembre 1980, infatti, non si riuscirono a fornire notizie precise sull’esatta localizzazione dell’evento per mancanza di dati disponibili in tempo reale, dal momento che allora non esisteva un unico centro di raccolta e di elaborazione dati e un servizio di sorveglianza sismica H24 come quello attuale. Le successive scosse furono registrate soprattutto grazie a una rete sismica temporanea installata da ricercatori italiani e stranieri. I sismologi riuscirono a ricavare così informazioni preziose sul processo di rottura del terremoto che indicavano un tipo di movimento della faglia responsabile di tipo estensionale o normale. Si iniziava a capire che l’Italia peninsulare era soggetta a uno stiramento dal Tirreno all’Adriatico. Nei trent’anni a seguire, i dati sismologici dei maggiori terremoti della catena appenninica confermarono che il processo attivo prevalente è proprio l’estensione della penisola in senso nordest-sudovest, confermati anche dai recenti dati satellitari, di 5-6 millimetri all’anno. Sembra poco, ma su una scala dei tempi geologici non lo è: tra mille anni l’Italia sarà larga qualche metro in più; tra un milione di anni alcuni chilometri.

© RIPRODUZIONE RISERVATA