Uranio impoverito, il Tar riconosce
la malattia legata a missione in Kosovo

Uranio impoverito, il Tar riconosce la malattia legata a missione in Kosovo
di Angela Trocini
Venerdì 4 Febbraio 2022, 06:45
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Uranio impoverito: i giudici della terza sezione del Tar Salerno accolgono il ricorso di un caporal maggiore (in servizio presso una caserma salernitana) contro il ministero della Difesa che ha decretato che l’infermità sviluppata dal militare non è dipendente da causa di servizio. Nello specifico il decreto ministeriale, con parere del ministero dell’Economia e Finanze (comitato di verifica per le cause di servizio) ha disconosciuto il nesso eziologico tra la patologia tumorale (neoplasia testicolare) di cui è affetto l’uomo e l’esposizione alle polveri di uranio impoverito presenti nell’ambiente in cui lo stesso ha prestato servizio durante la propria carriera militare (missione in Kosovo).

Di parere diverso il Tar Salerno che, motivando l’accoglimento del ricorso (presentato dagli avvocati Oreste Agosto e Simona Gigante per conto del militare oggi 38enne), ha chiarito come «nei casi delicati, come quelli in esame, all’interessato basta dimostrare l’insorgenza della malattia in termini probabilistico-statistici, non essendo sempre possibile stabilire un nesso diretto di casualità tra l’insorgenza della patologia e i contesti operativi complessi o degradati sotto il profilo bellico o ambientale in cui questi è chiamato ad operare».

A parere dei giudici salernitani, che si rifanno a giurisprudenza del Consiglio di Stato, è «la pubblica amministrazione, che ha a disposizione dati aggiornati e più precisi a dover tratteggiare una seria probabilità di insorgenza o meno della malattia denunciata».

E ciò secondo il collegio del tribunale amministrativo non è stato fatto: «il comitato», si legge nella motivazione della sentenza, «avrebbe dovuto attendere ad una più puntuale istruttoria tesa ad acclarare le effettive condizioni di servizio prestato dal militare e quindi motivare perchè quelle specifiche condizioni, nonostante la loro oggettiva durezza e potenziale pericolosità, non abbiano in concreto determinato o contribuito in maniera significativa a determinare la patologia tumorale successivamente insorta». Per il Tar Salerno, quindi, il ricorso deve essere accolto con «la conseguenza, sotto il profilo conformativo, che il comitato dovrà nuovamente pronunciarsi sulla richiesta formulata dal ricorrente».

Il caporal maggiore, attraverso i suoi legali, ha allegato atti comprovanti la carriera militare svolta facendo presente come - una volta terminata la missione in un territorio che ha visto acclarato (da indagini istituzionali) un tasso molto alto di contrazione di patologie tumorali da parte del personale lì impiegato - sia stato sottoposto al cosiddetto “monitoraggio Mandelli” una sola volta mentre l’attività del monitoraggio sanitario prevedeva l’esecuzione di una visita medica e di una serie di test per un periodo di cinque anni dopo il termine dell’impiego nell’area balcanica (era il 2008) con un controllo ogni 4 mesi per i primi tre anni ed ogni anno per gli ultimi due. Nel frattempo la carriera del militare continuava (addestrandosi, ancora una volta, nei poligoni di tiro in Sardegna, tristemente noti per essere stati teatro di esercitazione di moltissimi militari che hanno riscontrato patologie tumorali, tanto che nel ricorso si parla di “effetto Balcani” anche in Sardegna) fino all’assegnazione a Salerno da dove partì per il Libano (2015), nell’ambito di una missione Onu, ma dopo soltanto un mese costretto a ritornare in patria dove fu operato d’urgenza per neoplasia testicolare: «fatti», si legge nel ricorso «che non solo sono stati ampiamente acclarati ma che, già nel passato, in casi simili, hanno dato luogo ad effettive e comprovate responsabilità nell’utilizzo di militari senza dotarli di strumenti idonei ad evitare qualsiasi rischio per la loro salute».

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