Romania-Kosovo, partita sospesa per gli insulti dei tifosi: la rabbia di Rrahmani

Il caos dopo lo striscione su cui scritto Kosovo è Serbia

Amir Rrahmani capitano del Kosovo
Amir Rrahmani capitano del Kosovo
Giuseppe Taorminadi Pino Taormina
Mercoledì 13 Settembre 2023, 07:00 - Ultimo agg. 18:50
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Caos e tensione a Bucarest dove la Uefa è stata costretta a sospendere per quaranta minuti la gara tra Romania e Kosovo per i cori nazionalisti degli ultras di casa. I Balcani sono da sempre una polveriera. Ed Amir Rrahmani, con la sua nazionale di cui è orgogliosamente il capitano, quella del Kosovo, diventa protagonista delle notte cupa per l'Europa: perché nel corso della gara contro la nazionale rumena, il difensore del Napoli ha deciso di abbandonare il campo: dalla curva, gli ultras rumeni, dopo aver fischiato l'inno e inneggiato alla Serbia (contro cui il Kosovo è stato a lungo in guerra), hanno esposto una striscione su cui scritto Kosovo è Serbia. I cori razzisti e nazionalisti, i fumogeni e gli ululati hanno spinto Rrahmani ad andare dal direttore di gara, il francese Delajod e chiedere che lo striscione venisse tolto. Persino i giocatori della Romania hanno provato a convincere i propri sostenitori a ritirare lo stendardo, recendosi vicino agli spalti. E dopo una lunga trattativa, andata a vuoto, la gara è stata interrotta. Per circa quaranta minuti. Durante l'uscita dei giocatori del Kosovo, Vojvoda ha formato con le mani l'aquila albanese, altro simbolo dell'odio che c'è.

La Uefa, dopo aver sentito i capi delle due delegazione e i responsabili della sicurezza rumena, hanno deciso per la ripresa del match. Un clima surreale, ma che non era difficile da prevedere: la Romania è uno dei cinque Paesi della Nato che non ha mai riconosciuto Pristina da quando, nel 2008, ha proclamato l'indipendenza. La mancata normalizzazione dei rapporti diplomatici è all'origine della baraonda di ieri notte, dove è apparso persino uno striscione Bessarabia è Romania che fa riferimento alle rivendicazioni territoriali nei confronti della Moldavia.

Insomma, il calcio non c'entra nulla. Ma per Rrahmani la ferita della guerra resta sempre aperta: perché è stato costretto, da bambino, a vivere per circa un anno in Irlanda proprio la sua sicurezza. Non è la prima volta che uno stadio è vittima delle tensioni che da decenni si respirano nei Balcani: come quando nel 2014 Serbia e Albania venne sospesa dopo che sul terreno di gioco era apparso un drone con la bandiera della Grande Albania e una scritta inneggiante al Kosovo libero. 

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