Big Mama: «Storie del mio sangue, io non so parlar d'amore»

«Sono felice di essere utile alle persone. Mi scrivono che le mie parole, il mio brano al Festival, il mio esempio le hanno aiutate a reagire...»

Big Mama a Sanremo
Big Mama a Sanremo
Federico Vacalebredi Federico Vacalebre
Giovedì 7 Marzo 2024, 07:00 - Ultimo agg. 19:21
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Lo sa bene Marianna Mammone, 23 anni, da San Michele al Serino, che le parole sono importanti, ma a volte non sono sufficienti. Con «La rabbia non ti basta» è arrivata ventiduesima all'ultimo Sanremo, ma adesso, nel presentare il suo «vero primo album», «Sangue», in uscita domani, Festa della donna, confessa: «Io non so parlar d'amore. Ho superato il bullismo, lo stupro, la discriminazione, il linfoma di Hodgkin, ma... non so cantar l'amore, a meno che non sia andato a male, a meno che le mie relazioni non si siano rivelate tossiche».

Non è grave, Marianna, di canzoni d'amore ce ne sono già tante.
«Sì, anche troppe, e poche che lascino il segno».

In fondo, poi, tutte le canzoni del tuo disco sono d'amore: per te stessa.
«Ci può stare, sono il canto di una ragazza che ha ripreso in mano la sua vita. È per questo che mi accorgo non solo di piacere, ma di risultare persino utile alle persone.

Mi scrivono che le mie parole, il mio brano al Festival, il mio esempio le hanno aiutate a reagire. Non parlo solo alle donne, ai grassi, al popolo queer...».

Abbiamo tutti un blues da piangere. E tu, tra rap e aperture ad altri suoni, ne piangi qui parecchi. In pubblico.
«È vero, dopo “Fortissima”, l'incipit che è la classica spacconata da rap game, mi muovo tra brani hip hop, dance, elettronica, reggaeton, pop... Mi riprendo il piacere di cantare che mi ero inibita. E, soprattutto, mi racconto».

Senza peli sulla lingua, mettendo il tuo «Sangue» nei testi.
«È vero. Parlando al pubblico di casa non devo spiegare che vuol dire gettare il sangue: io l'ho gettato per trovare il coraggio di tirar fuori queste parole, queste storie. Racconto di me bambina: ho cresciuto i miei fratellini perché mia mamma era distratta dalla scomparsa di sua madre. Racconto la mia malattia: “Veleno” l'ho scritta mentre facevo la chemioterapia che mi ha salvato la vita. L'ho registrata com'era venuta, aggiungendo alla mia voce il pianoforte di Mark Harris, una leggenda: era tra i fondatori dei Napoli Centrale, ha suonato con De André, Bennato, Jannacci».

Ci sono due «feat» nel disco.
«In “Mama non Mama” c'è la Niña del Sud: l'adoro, l'avevo già voluta all'Ariston nella serata delle cover, lei aggiunge il dialetto napoletano ed un suono arabeggiante. In “Touchdown” c'è Myss Keta: insieme parliamo di sesso. Lei è stata tra le prime a sdoganare la cultura queer nel mondo hip hop italiano».

È ancora così omofobico?
«Sì, per antonomasia, anche se i testi omofobi e transfobici iniziano ad essere meno frequenti. Comunque anche i gay del rap giocano a fare i macho: il problema è che la cultura italiana è patriarcale, risolviamo prima il problema generale, poi quello particolare».

In «Touchdown» sembra di sentire l'Annalisa che bacia lei che bacia lui, che...: «Se tu vai con lei/ se tu vai con lui/ se ti vanno in due è un touchdown».
«È un modo per dire che se vai con lui è Ok, con lei pure, con tutti e due per me è meglio. Ho scoperto la mia bisessualità da piccola e ho dovuto nasconderla nel paesino irpino in cui sono nata. Dal pc di mio padre cercavo i film porno, attratta soprattutto dalle figure femminili. Avevo paura del giudizio, ma avevo scoperto me stessa e trovato la felicità».

Altri temi del disco?
«Sono robe che mi toccano, che ho toccato per mano. Parlo di cat calling, in “Malocchio” di superstizione e di violenza psicologica. In “Dea” rendo omaggio al mio mito Lady Gaga: il titolo è la parola che mi sono tatuata sul petto, un augurio a me stessa. Sulle spalle, invece, ho messo un paio di occhi: sono contro la jettatura».

Com'è andata all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite?
«Bene! Cose del genere danno speranza a chi mi segue. Se ce la fa lei, pensano, possiamo farcela anche noi».

Facciamo un bilancio sanremese?
«L'anno scorso ero arrivata alle selezioni di Sanremo giovani, poi mi hanno eliminata. E ne ho fatto un dramma, la musica mi aveva ferita e ingannata. Sono andata in terapia, mi sono sfogata con la boxe. Quest'anno devo ringraziare Amadeus e il mio pezzo, ma...».

Ma...?
«Sono ancora schifata per i fischi a Geolier. Lui è padrone indiscusso delle classifiche da tempo, ha vinto, ha perso? Mah, hanno perso i razzisti che hanno fischiato un ragazzo di 23 anni e la sua lingua, la mia lingua, la lingua della canzone per antonomasia». 

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