Cosmo sold out alla Casa della Musica di Napoli: «Concerto senza telefonini»

All’entrata gli smartphone sono resi «ciechi» da un bollino. «Farne a meno fa cambiare l’esperienza di chi sta sopra e sotto il palco, come l’energia condivisa»

Cosmo
Cosmo
Federico Vacalebredi Federico Vacalebre
Venerdì 5 Aprile 2024, 07:36
5 Minuti di Lettura

Sold out in prevendita, il concerto di Cosmo domani sera alla Casa della Musica resterà nelle orecchie e nei cuori degli spettatori, forse anche nei loro occhi, ma non nei loro smartphone: ai suoi show è vietato l’utilizzo dei cellulari per fare foto e video, all’ingresso le telecamere sono coperte con dei bollini. Bella l'idea dei telefonini ciechi, così da fare a meno della paralizzante abitudine di seguire un concerto attraverso quei cosini. Mi era capitato con Bono al San Carlo, ma anche in giro con sua maestà Dylan, che sequestrassero i cellulari, mai che li rendessero «non vedenti», sembra quasi un invito a riconquistare il proprio sguardo.

«È principalmente una questione di empatia! Sono convinto, e ne ho avuto concreta dimostrazione alla prova aperta che abbiamo improvvisato prima di partire in tour e alle prime date di questo tour, che non usare il cellulare cambi profondamente l’esperienza e l’energia.

Mi è molto più difficile entrare in connessione con le persone attraverso lo schermo, ai miei live voglio che le cose siano meno sotto controllo, che il viaggio sia condiviso da tutti allo stesso modo e con la stessa intensità».

Bello anche il tuo nuovo album, «Il cavallo bianco». Mi ha colpito una frase del primo pezzo, in cui parli di «Abitare questo spazio di confine»: ma quali sono gli spazi concessi a chi non si omologa?

«È una frase che sento molto mia e infatti è nata istintivamente, improvvisando durante una jam che si è trasformata poi in “Come un angelo”. Mentre davo forma all’album mi sentivo spesso un messaggero tra diversi mondi e dimensioni. Troviamo il nostro spazio lasciando perdere l’angoscia di dover performare a tutti i costi, di dover essere produttivi. Bisogna reimparare a respirare, ripartire dai momenti emozionali, dal silenzio, cambiare punto di vista. Il vero spazio da abitare è quello interiore».

Poi arriva «Gira che ti gira», elogio di una sana e consapevole libidine.

«È il brano più scanzonato e sessuale del disco, il più spensierato, che ho scritto ispirandomi alla leggerezza magica di “Attenti al lupo” di Lucio Dalla. Volevo trasmettere l’idea di una liberazione totale, anche dal punto di vista fisico».

A proposito: nel tuo modo di scrivere i testi mi viene in mente Vasco Rossi. Ti ha mai influenzato?

«Non è la prima volta che per alcune canzoni di questo disco viene tirato in ballo Vasco, ammetto che non è stata un’influenza consapevole, non mi sono mai messo a dire “ora faccio un pezzo alla Vasco”, ma sono italiano e lui in qualche modo fa parte dell’immaginario di tutti noi. A lui mi lega l’attitudine e anche l’avere radici ben salde nella provincia, l’essere rimasto a Ivrea e l’aver portato nel percorso con me alcune delle persone con cui avevo cominciato a fare musica da ragazzo e che ancora fanno parte del mio mondo. Ho visto il documentario sulla sua storia e ci sono diverse cose che ci collegano».

Il disco sembra accettare la sfida della forma canzone, pensare meno che in passato al flusso elettronico di coscienza.

«Ho lavorato alla realizzazione dell’album con Alessio Natalizia, in arte Not Waving, volevamo fare un album da riascoltare, con cui raccontare delle storie. L’intento comune era quello di creare qualcosa che ancora non esistesse, una realtà nuova, cercando però di essere diretti e sinceri, di fare pop e empatizzare. Il mio lavoro precedente, “La terza estate dell’amore”, era più orientato verso il mondo del clubbing. Mi sono rimesso in discussione, è stato un gioco divertente che mi ha reso ancora più libero».

Di che cosa parla «Talponia»?

«Avevo in mente questa melodia molto dolce da dedicare a mia figlia Linda. Un giorno, mentre la accompagnavo all’asilo comunale che si trova proprio all’interno di questo complesso di Ivrea, ci siamo trovati a passeggiare sul tetto. È lì che mi è tornato in mente il “segreto di Talponia”, una sorta di “segreto di Pulcinella” che tutti sanno ma di cui nessuno parla, ovvero la presenza di prostitute nell’area dell’asilo e di questa ragazza trans che vive lì e ogni tanto per le festività porta regali ai bambini. Ho pensato al clash tra le due cose e che fosse un bel messaggio da passarle quello di non avere pregiudizi morali, di non giudicare e di non sentirsi mai giudicata, di fare col suo corpo quello che vuole».

«Il corpo è un parco giochi», canti. Ma veniamo al live: il tour raccoglie sold out quasi ovunque, eppure continui a non accodarti al mainstream e le sue regole. Un’altra musica è possibile?

«Ho sempre cercato di sperimentare nuove strade nella vita e nella musica, non sono mai stato un artista legato a un determinato genere musicale, negli anni ho avuto le mie infatuazioni, fino ad arrivare a questo disco di cui sono molto orgoglioso. Credo che un’altra musica sia sempre possibile se si parte dal desiderio di realizzare qualcosa che stupisce noi stessi per primi. Questo è un disco maturo ma anche molto giocoso, con cui abbiamo provato a inseguire e cercare la sorpresa in noi stessi. Avevo bisogno di parlare della mia vita».

Che rapporti hai con Napoli?

«La famiglia di mia moglie è campana, amo queste zone, le conosco bene. Di Napoli ho un ricordo incredibile dell’ultima volta che ci abbiamo suonato: inizialmente il concerto era previsto per il giorno in cui il Napoli sarebbe diventato campione d’Italia e per ovvie ragioni abbiamo dovuto spostarlo. Quando siamo riusciti a farlo c’era un clima di festa unico e un caldo torrido: sudavano anche le mura».

© RIPRODUZIONE RISERVATA