Marco Mengoni, concerto a Salerno: la «pazza musica» dell'estate italiana

«Buonasera Salerno, buonasera Campania, io lo sapevo già che qui sarebbe stata n'ata cosa»

Marco Mengoni allo stadio Arechi
Marco Mengoni allo stadio Arechi
Federico Vacalebredi Federico Vacalebre
Domenica 25 Giugno 2023, 09:00 - Ultimo agg. 17:06
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La «Materia» prima più preziosa di questo tour è la voce di Marco Mengoni, che prende note imprendibili, passa dal falsetto a certi toni scuri baritonali, sceglie timbri acidi e rivela possibilità quasi da contraltista, ma poi modera i virtuosismi tecnici nel nome dell'interpretazione, del rispetto del testo, che si tratti di ballad o di up tempo non fa differenza. Ma al centro di tutto c'è anche una certa voglia di scappare dalla routine del mainstream italiota, di incamminarsi sempre di più sui binari fluidi della sua passione per la black music di ieri e di oggi.

Sul palco gli elementi prismatici ricordano la trilogia discografica appena completata, «Terra (Prisma)», appunto, e filtrano i colori, scomponendoli e riflettendoli. In un arcobaleno, tanto per essere chiari. Ma la scenografia, compresa la passerella di oltre trenta metri che proietta il cantante tra i 34.000 dell'Arechi, e i visual sui led, è solo la cornice di uno show canoro che attinge per una decina di brani alla trilogia «terrestre», recuperando pezzi meno frequentati, regalando ai fans gli hit richiestissimi, riarrangiati secondo il recente mood mengoniano.

«Cambia un uomo» apre tutto con una prima immersione in mezzo al pubblico di Salerno, quasi ad abbattere subito - in completo bianco giacca, camicia, cravatta e pantaloncino corto - le distanze con un gospel pop-confessione di aver vissuto.

Su «Esseri umani» Marco arringa il suo popolo: «Facciamogli capire perché», dice, e poi canta «l'amore ha vinto, vince e vincerà». E per lui, e per i 34.000 dello stadio, l'amore non ha sesso, non è questione di genere. «Buonasera Salerno, buonasera Campania, io lo sapevo già che qui sarebbe stata n'ata cosa», saluta, poi ricorda i colleghi impegnati a Campovolo nel benefit «Italia loves Romagna». «No stress», con i suoi ballerini, è un invito alla danza, alla liberazione collettiva, ad essere se stessi. È il messaggio dello show, non fosse lo show, libero, disinibito, senza steccati, di per sé stesso un messaggio. «Voglio» lo vede in canotta glitterata, «Muhammad Ali» parla di discese ardite e risalite, «Psycho killer» (sempre siano lodati i Talking Heads) apre una parentesi più nevrotica e corposa, con le chitarre distorte di «Credimi ancora», il funky di «Mi fiderò», Drusilla Foer che dagli schermi fa da presentatrice d'eccezione a ricordare il sottotesto dell'intero tour.

I coristi scatenano un revival soul-dance, permettendo a «Proteggiti da me» di farsi sempre più black, preparando la strada al piatto forte della serata, «Due vite», in nude look. La canzone che ha trionfato a Sanremo scatena il coro dello stadio, quando sfuma lascia spazio all'omaggio a Tina Turner (sempre sia lodata) sulle note di «What's love got to do it» e poi ancora a «L'essenziale», che all'Ariston trionfò dieci anni esatti fa.

Festa deve essere e festa è, spunta persino la Beyoncè di «Crazy love», prima dell'esplosione di «Pazza musica», manca solo Elodie, sostituita dalle coriste, per il singolo che più impazza nelle radio in questi primi giorni d'estate.

E pazza, sensuale, musica è quella che Mengoni condensa in questo «Marco negli stadi tour 2023», cercando di sfuggire alle pastoie che trattengono «l'intronata routine del cantar leggero» (copyright Pasquale Panella per Lucio Battisti, sempre siano lodati) sino a concedersi il lusso del monologo motivazionale: «Non siamo nati per non sbagliare mai... No, siamo nati per sbagliare, per chiedere scusa, per dire grazie». Ma attenzione agli agnelli che sanno farsi lupi: ecco la voglia di «incazzarsi», di «lottare», «perché, forse, solo tutti insieme possiamo ancora cambiare le cose». Sopra il palco non sventola la bandiera Lgbtqi+ (ma si vede in video, tra marce per la pace e di Black Matter Lives), quella che Marco aveva portato a Liverpool, farlo in Italia, di questi tempi, sembra più complicato. In tempo di disimpegno, di battaglie sull'egemonia culturale, il trentaquattrenne di Ronciglione dice comunque la sua cercando di non restare triturato nel teatrino della politica italiana, anche se al debutto di Padova si è concesso qualche parola di più, visto che era la città dove la Procura ha contestato gli atti di nascita con due mamme.

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«Fiori d'orgoglio» anima il palco e il prisma, «Hola» è un momento più intimo, naufragar ci è dolce nel mare del light show di «Ti ho voluto bene veramente». «Guerriero» sembra la fine ma non è vero, «Proibito» trattiene la platea nell'Arechi, salutato davvero poi con una «Buona vita» che guarda a Stromae. Mengoni va via, il suo tour continua, sino all'apoteosi conclusiva con ospiti del 15 luglio al Circo Massimo, per poi riprendere in ottobre in Europa.

A Salerno lo stadio si svuota, ma per poco: il 28 e il 29 attende il Komandante Vasco Rossi, sold out, naturalmente, da tempo. 

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