Inviato a Dimaro
Uno, il toscano decideva, e voleva decidere, forse, persino i calzini da far indossare ai propri calciatori durante le sedute di allenamento, qui in Val di Sole. L'altro lascia ai suoi un bel margine di autogestione, senza l'assillo di una guida costante e martellante. Pronti, ciak: da Spalletti a Garcia, scena 1. Troppo pochi quattro giorni per mettere a confronto il tecnico che ha conquistato lo scudetto, con il suo successore al trono. Però, qualcosa, si inizia a intuire. Ovvio, il lavoro nella preparazione: meno pallone, meno partitelle. Con Luciano, era subito 11 contro 11, ora c'è più lavoro a "secco".
Il contatto con i tifosi, pure, è diverso: uno è francese e lo è in ogni sua posa. Non è frivolo, non appariscente, ma non nasconde la sua felicità a essere qui, con la maglia azzurra. I due sono profondamente distanti, motivo per cui De Laurentiis ha scelto Garcia: per rompere con un allenatore che si isolava (a Castel di Sangro l'anno scorso ha dormito persino in un altro hotel) e che ha scelto per sette mesi di vivere nello spogliatoio di Castel Volturno.
Le premesse non sono di poco conto: le due estati di Spalletti sono state da far tremare i polsi. Arriva e deve mettere la faccia per difendere i suoi da quell'insopportabile "che è successo contro il Verona?". E dodici mesi fa era l'uomo che metteva la faccia (con Giuntoli) mentre il mondo Napoli contestava tutto quello che sapeva di De Laurentiis. Ovvio, Garcia ha una sfida che non è minore: ripartire da uno scudetto stravinto e con l'obiettivo di doverne vincere un altro. Ovvio, Spalletti è un'eterna spada di Damocle sulla testa di Garcia. E pian piano si capisce perché la scelta del francese: sembra, per certi versi, essere tornati a una gestione alla Ancelotti o alla Benitez. Ovvero tecnici che partono dal presupposto che i campioni sanno da soli quello che devono fare. Spalletti (come Sarri e Gattuso) erano istruttori e quasi educatori. Rudi appare sempre molto posato. Ma si vede che sa come godere dei bei momenti: al contrario di Spalletti, che trovò il tempo di fare polemica, persino nella notte dello scudetto di Udine. Diciamolo, non lascerebbe mai Napoli o qualsiasi altra città per "troppo amore". La verità è che una cosa balza all'occhio, come impressione iniziale. Spalletti era evidentemente una persona complicata e complessa. Lui, Garcia, no. Almeno, non lo sembra. Semplice non vuol dire alla portata di tutti: ma che sarà in grado di distinguere i momenti, godersi quelli belli e lamentarsi di quelli brutti. De Laurentiis lo ha scelto per questo: perché aveva bisogno di una rottura anche caratteriale con il predecessore.
Ovvio, adesso De Laurentiis va d'amore e d'accordo con il suo tecnico. Ma è normale dopo pochi giorni. Ma è colpito da un aspetto: Garcia vuole essere coinvolto in tutti gli aspetti del club. Parla con i ragazzi del marketing che hanno in Tommaso Bianchini il nuovo responsabile; gli piace avere spiegazioni da Valentina De Laurentiis sulle nuove maglie azzurre. Insomma, vuole essere anche un manager. Spalletti no: per lui c'era il campo, i calciatori, gli avversari (anche non sempre quelli sul terreno di gioco). Non staccava mai la spina. Mai. Poi c'è un altro aspetto che magari si capisce adesso solo da qualche dettaglio, ma che oggi con l'arrivo di Di Lorenzo, Kvara e Zielinski si capirà di più: è meno ossessivo e martellante di Spalletti nelle sedute tattiche, nella preparazione alla partita. Dà spazio alla fantasia e all'inventiva. La squadra per due anni è stata abituata ad altro, ora vedremo come reagirà. Certo per Garcia, che arriva dalla gestione di un "tiranno" come Cristiano Ronaldo, sarà una passeggiata gestire questi ragazzi in maglia azzurra.