Cardiopatico morto in carcere:
«Fu vittima dei pestaggi della polizia»

Cardiopatico morto in carcere: «Fu vittima dei pestaggi della polizia»
di Mary Liguori
Domenica 3 Gennaio 2021, 07:55 - Ultimo agg. 16:41
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Due infarti in sette mesi, due istanze di scarcerazioni respinte. Nel mezzo, la rivolta in carcere soffocata, secondo la Procura di Santa Maria Capua Vetere, con i manganelli. Poi un nuovo attacco di cuore, l’arrivo del 118, la morte e la chiamata ai familiari, la mattina dopo. È deceduto nonostante i vari tentativi di rianimazione Renato Russo, 54 anni, di Arzano, detenuto a Santa Maria Capua Vetere con ancora cinque anni da scontare per due rapine messe a segno nell’Aversano nel 2019 con la tecnica del «lancio del bullone». È morto intorno all’una di notte di Capodanno nell’infermeria dell’Uccella. Alle sette del mattino, la sua compagna è stata avvisata del decesso e messa al corrente che la salma è sotto sequestro per gli accertamenti disposti dall’autorità giudiziaria. 


 
Secondo quanto si è finora appreso, Russo, arrestato dai carabinieri di Aversa nell’ottobre del 2019 insieme a un coetaneo con l’accusa di avere rapinato due automobilisti dopo aver lanciato dei bulloni contro le loro macchine, sette mesi fa è stato colpito dal primo infarto. Dopo l’attacco, fu ricoverato per dieci giorni all’ospedale di Sessa Aurunca, dimesso e riaccompagnato in carcere. A luglio, Russo ha avuto un secondo arresto cardiaco; operato all’ospedale di Caserta, dimesso una settimana dopo e, ancora, ricondotto in carcere. Il tutto con la pandemia in corso, pertanto il suo avvocato, adducendo la patologia cardiaca e il pericolo di vita, ha chiesto per due volte al magistrato di concedergli i domiciliari ma, evidentemente, rientrando il reato per il quale era sopraggiunta la condanna - la rapina - nella fattispecie ostativa, il giudice non ha ritenuto di accordare il beneficio. Il 30 dicembre, Russo ha quindi avuto l’ultimo contatto con la famiglia. Una videochiamata in cui, a detta dei familiari, tossiva. La notte seguente, intorno all’una, ha avuto un attacco cardiaco fatale. Inutili i tentativi di rianimazione del 118: il 54enne è arrivato in ospedale a Caserta che era già cadavere. La salma è sotto sequestro. 
 
Russo sarebbe tra quei detenuti che la Procura ritiene vittime della rappresaglia punitiva del 6 aprile scorso.
Quella notte, sostengono i pm diretti dal procuratore Maria Antonietta Troncone, 66 agenti di polizia penitenziaria entrarono nelle celle e picchiarono selvaggiamente i detenuti che, il giorno prima, avevano inscenato una violenta rivolta tesa a ottenere benefici e scarcerazioni in relazione alla pandemia in corso. La Procura accusa gli agenti del reato di tortura. 
 
«Renato ha sbagliato e stava scontando la sua pena, ma ha pagato con la vita - dice il fratello del 54enne, Mauro - la mattina del 30 dicembre ha videochiamato la compagna e tossiva. Lei gli ha detto di farsi portare in ospedale, ma lui ha risposto che per due volte gli avevano già negato i soccorsi. Due mattine dopo, ci hanno avvisati che era morto. Per due volte, aveva presentato istanza di scarcerazione, ma il magistrato ha negato i domiciliari. La seconda volta è accaduto dopo la rivolta in carcere, in seguito alla quale mio fratello e altri detenuti sono stati barbaramente picchiati dagli agenti. Il giorno dopo, Renato era pieno di lividi, gli agenti non si sono fatti scrupoli ad alzare le mani su un cardiopatico e per due volte i giudici gli hanno negato la possibilità di scontare la sua pena a casa e poter ricevere le cure adeguate. Tutto ciò è ingiusto e incivile». Iil garante dei detenuti della Campania, Samuele Ciambriello, chiede «giustizia e verità. Per due volte - ha detto - il magistrato competente, pur essendo Russo cardiopatico, gli ha rifiutato i domiciliari. Non si può morire in carcere e di carcere. Chi ha sbagliato deve pagare, ma non a prezzo della vita. La giustizia è in agonia. Quando la politica riprenderà in mano i suoi poteri e i suoi doveri? Adesso è cinica e pavida. L’«ostatività» di un reato è una interpretazione ipocrita e incostituzionale, se riconosci che un detenuto è malato il motivo per il quale è in carcere non può prescindere il diritto alla salute».
 
Il segretario della giunta esecutiva dell’Anm di Napoli e magistrato di sorveglianza di Santa Maria Capua Vetere, Marco Puglia, replica alle affermazioni del garante. «Al di là della assoluta drammaticità della vicenda, per la quale non può che esserci dolore, ritengo che non sia corretto gettare un’ombra sulla magistratura. Le dichiarazioni del garante sono prive di capacità di analisi di una vicenda delicata avvenuta in un momento delicato: questo non perché la magistratura sia esente da errori, ma perché l’operato dei giudici, che ogni giorno si assumono la responsabilità della salute dei detenuti, non può essere messo in dubbio senza approfondimenti». «L’ultimo provvedimento che riguarda Russo - continua Puglia - risale al 28 giugno del 2020 e il rigetto disposto dalla Sorveglianza tiene conto della vicenda al momento dell’istanza: è irrealistico sostenere che la morte poteva essere evitata con la scarcerazione. Sarebbe opportuno che chi riveste ruoli di un certo tipo non rilasciasse dichiarazioni se non dopo approfondimenti di natura sanitaria e processuale». «Va detto - ha concluso Puglia - che l’istanza potrebbe essere stata respinta per inammissibilità in quanto la condanna non era ancora definitiva». Il 20 gennaio ci sarebbe stata la prima udienza in corte d’Appello.
 

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