«L'Università nelle lotta alle mafie», il libro del prof D'Alfonso e del sindaco Manfredi

«L'Università nelle lotta alle mafie», il libro del prof D'Alfonso e del sindaco Manfredi
di Pino Taormina
Mercoledì 6 Ottobre 2021, 22:33
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Le mafie e così, in particolare, le camorre, sono dei sistemi articolati, la cui storia passata e recente può essere raccontata non solo osservandone i profili a prima vista criminali: gli omicidi, le stese, le estorsioni, il racket, il traffico di droga. Sarebbe sbagliato guardare queste cogliendone solo l’apparato militare e l’uso della violenza. Se così fosse, sarebbero già state debellate, potendovi contrapporre una forza di gran lunga maggiore, per numeri e capacità, delle forze di polizia e della magistratura. Le mafie sono piuttosto dei sistemi sociali che partecipano alla vita politica, si insinuano nelle pubbliche amministrazioni, intrecciano legami con il mondo delle imprese e delle professioni, per esempio attraverso il riciclaggio e l’usura; fondano sull’omertà imposta dall’uso o dalla minaccia della violenza, sulla rassegnazione dei cittadini e degli imprenditori che non denunciano, a volte nonostante le evidenze investigative. Siamo quindi in presenza di un sistema in cui operano criminali ‘professionisti’ — dai boss alla ‘manovalanza’, che, come noto, tra le sue leve raccoglie anche giovani e giovanissimi — e persone che, più o meno consapevolmente, contribuiscono al radicamento e alla crescita di questa malapianta. Azioni efficienti di sradicamento devono trovare una sintesi in un’azione politica che, senza soluzioni di continuità, ponga sempre tra i propri obiettivi il contrasto e la prevenzione dei fenomeni mafiosi. Una politica che sia la somma o meglio l’interrelazione tra più politiche e conseguenti azioni. Lasciare solo o prevalentemente all’antimafia investigativo-giudiziaria tale ruolo non è sufficiente. Tutti gli attori impegnati, ognuno in considerazione delle proprie sensibilità e competenze, hanno un ruolo che deve essere valutato in sinergia con quello degli altri che sono parte del sistema antimafia. Oltre alla magistratura e alle forze dell’ordine occorre considerare i partiti e i movimenti politici, le istituzioni rappresentative, quali ad esempio il parlamento o i consigli regionali; ma anche quegli attori che possiamo condurre, per la diretta attività che svolgono o per il contributo che più in generale danno, nell’antimafia sociale: es. le associazioni antimafia e le parrocchie. Questo sistema si compone di un complesso di forze che deve avere anche un valore simbolico, da contrapporre a quello fondato sulla paura o la convenienza (es. economica) nell’agire all’interno di un sistema mafioso. Da questi presupposti di carattere generale trae le mosse un progetto scientifico dell’Università Federico II di Napoli, in particolare del Laboratorio interdisciplinare di ricerca su mafie e corruzione (Lirmac) del Dipartimento di scienze sociali e la Conferenza dei rettori delle università italiane, in collaborazione con la Commissione parlamentare antimafia e il Ministero dell’università e della ricerca.

In particolare è stato indagato il ruolo dell’Università nella lotta alle mafie. I risultati sono stati pubblicati con Donzelli editore nella Serie Mafie e Corruzione in un volume curato dai professori dell’Università Federico II Stefano D’Alfonso e Gaetano Manfredi. Ventinove studiosi di diverse università italiane hanno deciso di misurare, per la prima volta, l’impegno accademico nella formazione e nella ricerca, ponendo al centro l’educazione ai valori della legalità dei giovani, futura classe dirigente del Paese e il supporto concreto che gli studiosi, singolarmente o attraverso i gruppi di ricerca, sono in grado di dare alle istituzioni (si pensi al momento della formazione degli atti normativi o alla conoscenza scientifica delle realtà territoriali a supporto delle associazioni o della magistratura). Sono state passate in rassegna l’attività di insegnamento, le specifiche aree disciplinari di interesse, le tipologie di corso di laurea, l’offerta formativa post-laurea (es. master, dottorati) e i laboratori di ricerca, che operano sia nei territori tradizionalmente mafiosi sia in quelli in cui si registrano più recenti insediamenti. Contestualmente, è stato predisposta un’anagrafe della ricerca che ha raccolto, all’interno di una banca dati, che sarà liberamente accessibile, circa tremila pubblicazioni aventi a oggetto lo specifico tema delle mafie, approfondito con rigore scientifico da circa mille studiosi afferenti a circa cento settori disciplinari — da quelli che registrano il maggiore impegno (es. la sociologia, gli studi giuridici ed economici, la storia, la psicologia) sino a quelli meno noti ma egualmente importanti (es. la geografia, la medicina legale, l’architettura e la letteratura e il cinema). D’Alfonso e Manfredi insieme agli altri studiosi mettono in luce le potenzialità del sistema universitario, partendo dall’idea che la più alta sede di cultura scientifica e della formazione debba valorizzare i suoi sforzi, lavorando sull’interdisciplinarità e ottimizzando la collaborazione con gli altri attori del sistema antimafia. Il titolo della ricerca “L’Università nella lotta alle mafie” rappresenta il riconoscimento e la visualizzazione, anche simbolica, dell’impegno degli studiosi e dell’Accademia italiana.

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