Don Chisciotte tra Napoli e Venezia in una mostra di Ciro Palumbo e uno spettacolo di Marchitelli

Fino al 30 settembre nella sede della Fondazione Giorgio e Armanda Marchesani l'esposizione curata da Anna Caterina Bellati

Ciro Palumbo, "Scelgo quella gran luce", 2023
Ciro Palumbo, "Scelgo quella gran luce", 2023
di Donatella Trotta
Venerdì 1 Settembre 2023, 18:40 - Ultimo agg. 18:49
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È un momento propizio per le rivisitazioni di Quijote, intramontabile figura letteraria che nel centenario di Italo Calvino sembra amplificare tutte le tesi contenute nel contributo calviniano dal titolo «Perché leggere i classici». A partire dalla considerazione (punto 6) che «un classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire». E se a giugno scorso il Campania Teatro Festival si è infatti ispirato al personaggio con la prima assoluta di «Circus Don Chisciotte» di Ruggiero Cappuccio, con la regia di Antonio Latella, non mancano poi versioni a misura di ragazze e ragazzi: come il «Chisciotte Fenicottero» (Edizioni Primavera) del poeta e drammaturgo Bruno Tognolini, tra i vincitori della quinta edizione del Premio Il Mondo salvato dai ragazzini 2023 che si concluderà, il 13 ottobre prossimo in un duplice evento al Teatro dei Piccoli aperto alla città, con lo spettacolo «Il cuore di Chisciotte» del geniale Gek Tessaro (anche albo illustrato edito e ripubblicato di recente da Carthusia).

Sguardi plurimi, per tutte le età, su un cavaliere errante e la sua lucida “follia” d’amore (per i libri, per Dulcinea, per l’umanità) che non a caso, dai tempi di Miguel Cervantes, continua a interpellare sensibilità artistiche diverse e diversi linguaggi, in un incessante processo generativo che produce (ri)letture, interpretazioni e contaminazioni sempre nuove e sorprendenti. Lo può confermare un triplice evento che da domani (sabato 2 settembre) al 30 settembre intreccia una mostra di dipinti, sculture e disegni dell’artista Ciro Palumbo, la pubblicazione di un catalogo e uno spettacolo teatrale ispirato al ciclo pittorico e scritto dalla poetessa e autrice Anna Marchitelli in una sorta di ponte tra Napoli e la Serenissima. Partenopea infatti l’autrice dello spettacolo, napoletani l’interprete e regista (già giovane Eduardo De Filippo nel film di Sergio Rubini su «I fratelli De Filippo e originario della Campania lo stesso Palumbo, nato a Zurigo da genitori Piedimonte Matese. L’esposizione, a cura di Anna Caterina Bellati (che firma anche il catalogo «El ingenioso hidalgo don Quijote de la Mancha nella lettura poetica di un artista in bilico tra terra e infinito»), si intitola «El ingenioso Don Quijote» e si inaugura domani negli spazi espositivi della Fondazione Giorgio e Armanda Marchesani a Venezia (Dorsoduro 2525), promotrice dell’iniziativa con Bellati Editore|Dadart e Archeion-Archivio Ciro Palumbo. Inserita nel circuito della Biennale di Benezia 2023, la mostra presenta un nucleo di opere – 46 lavori tra dipinti e carte e 4 sculture – liberamente  ispirati al capolavoro di Cervantes e a una personale reinterpretazione del “Cavaliere dalla triste figura”, secondo la definizione del filosofo Miguel de Unamuno.

Il percorso, declinato nella complessità del costante (e universale) conflitto eroicomico del Cavaliere errante con la realtà e il suo tempo, non è basato soltanto su un serrato confronto di Palumbo con lo spirito di Chisciotte - figura visionaria e colta, malinconica e preromantica che vive, spera, duella e sogna all’interno di una nitida e precisa sintassi utopica – ma anche con le ossessioni personali e i temi cari all’artista: «Don Chisciotte, così come gli altri personaggi che hanno abitato i precedenti cicli pittorici, da Dante ad Ulisse, dall’Infinito leopardiano all’Homo Viator, sono dei messaggeri – spiega Palumbo – in quanto portatori di temi importanti. Mettono puntualmente in discussione la mia arte e le mie visioni. Con Don Chisciotte, poi, che ho dipinto in mondo non stereotipato, ma piuttosto ne ho rappresentato tutte le fasi esistenziali, ho in comune la propensione alla visionarietà, all’onirico».

Così, Palumbo piega i propri codici espressivi a quella figura potentemente ispiratrice regalandole persino soddisfazioni inattese: come il fidato Ronzinante,  destriero che assume l’aspetto di un animale superbo in grado addirittura di volare. Del resto, Don Chisciotte della Mancia è un’opera monumentale che attraversa e va oltre la Storia, esposta anche per questo a un numero imprecisabile di interpretazioni che investono, necessariamente, anche chi sceglie di rileggerlo nuovamente. Ed è appunto a questa indefinibile, autonoma e sfuggente sfera di senso che si è ispirato Palumbo quando ha scelto di penetrare le profondità di Don Chisciotte e del mondo che intorno costruisce, di cui fanno parte il fedele servitore Sancho Panza, l’amata Dulcinea e il cavallo Ronzinante.

L’artista ha così mescolato gli archetipi che costellano la sua poetica con quelli del Don Chisciotte, in un percorso di narrazione visiva e di significati richiamando, su tutti, una visione cristica del cavaliere che, consapevole di sé, fa i conti con la follia, l’utopia, la vita e la morte.

Non solo. Da un altro serrato confronto tra immagini e parole, visioni ed emozioni nasce anche lo spettacolo teatrale di Marchitelli «Io, Don Chisciotte (storia quasi eterna di un cavaliere errante)» che domani alle ore 18, in occasione dell’opening della mostra, debutta nell’interpretazione di Ettore Nigro, con la regia e le musiche di Mario Autore e il patrocinio del Comune di Venezia – Le Città in Festa e di Venezia Città Metropolitana. Uno spettacolo che – spiega Marchitelli - «nasce dal dialogo intenso e profondo con l’artista, mettendo in pratica un incontro autentico e germinativo tra le arti». Non a caso, Palumbo firma anche la scena composta da quattro tele (160 cm x 200 cm) e oggetti di scena, realizzando un proseguimento, ideale e reale, simbolico e concreto, con il percorso espositivo, mentre i costumi sono di Anna Zuccarini. Aggiunge Marchitelli: «È la paura di morire che, in origine, spinge don Chisciotte ad abbandonare la vita sicura che conduce nel suo paese e a lanciarsi nell’avventura di diventare “cavaliere errante”. Ad animarlo il desiderio di fama eterna, ma anche la volontà di andare incontro all’uomo (e all’umano) per difenderlo dalle ingiustizie e dalle ingiurie. Ma il sogno donchisciottesco, stavolta, perde i contorni romanzeschi: è lo stesso personaggio, sulla soglia tra il vivere e il morire, a far cadere l’illusione e a svelare, in primis a Sancho Panza, che le etichette che gli ha affibbiato il "popolo dei savi e sani di mente", ovvero “il folle”, "lo scemo che si è scimunito a causa dei libri e della donna amata”, o ancora "lo stolto che combatte contro i mulini a vento", sono frutto di una (secolare e consapevole) messinscena da parte del protagonista».

L’esito di questo percorso, risonante di particolare attualità in un momento che sembra aver perso il senso profondo dell’umanesimo, è l’icona di un (moderno) cristo processato e crocifisso per il suo amore verso l’umanità tutta, più realista e vitale di quanto si sia sempre pensato, che apre così il varco per una riscrittura dello spirito donchisciottesco. Invitando, oggi più che mai, singoli individui a unirsi, proprio sulla scia da lui lasciata: perché un esercito di don Chisciotte può incutere più paura alla banalità ubiqua del male , ed essere più efficace nel combatterlo, di un cavaliere solitario.

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