«Chiuso per adozione», Giovanni e Pina genitori dopo 5 anni: «Abbiamo realizzato il sogno di due bambini»

«Chiuso per adozione», Giovanni e Pina genitori dopo 5 anni: «Abbiamo realizzato il sogno di due bambini»
di Alessandra Martino
Giovedì 13 Gennaio 2022, 10:36 - Ultimo agg. 14 Gennaio, 08:40
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«Quando ci hanno chiamato, pensavo fosse uno scherzo. Avevamo perso le speranze - ha raccontato Pina - Dal primo abbraccio li ho sentiti come se fossero stati miei. I figli non sono di chi li mette al mondo ma di chi li ama».

Diventare genitori oggi è complicato. Ancor di più quando per scelta, o per cause maggiori, si ricorre all’adozione.

Le coppie che scelgono la strada dell’adozione lo sanno: è una strada, questa, piena di ostacoli e di difficoltà, tale a volte da scoraggiare chiunque, diventata ancora più complicata a causa della pandemia. E non si capisce nemmeno perché siano così tante, queste difficoltà. Perché i bambini che hanno bisogno di una famiglia, nel mondo, sono ben 145 milioni. 

Una cifra spaventosa. Dall’altra parte, ci sono tante famiglie, che possiedono i requisiti, che sopportano iter burocratici di esasperante lentezza, ma quando arriva finalmente, la “famosa” chiamata da parte di chi ne compete che, dà il via libera all'adozione, la gioia è talmente tanta da volerla comunicare a tutti, anche all’intero paese. 

Dietro le difficoltà di un’adozione, si nasconde una cosa meravigliosa, ma è anche stupore, incredulità e finalmente abbandono alla gioia di tanti bambini che, come Derek e Josef, vengono abbracciati, dopo tanto peregrinare, dal calore dell’amore di due genitori. Per sempre.

Questa è la storia di Giovanni e Pina Battiniello, dopo un’attesa lunga cinque anni, fatta di tanti ostacoli e spesso anche delusione e tentativi falliti di adozione nazionale, lo scorso novembre hanno realizzato il loro più grande desiderio: «Siamo diventati genitori».

Una gioia che, Giovanni ha voluto comunicare anche ai suoi clienti, con un cartello sulla saracinesca del suo caseificio, in attività da 25 anni, con su scritto «Chiuso per adozione», in via Chiaia, a Napoli.

Questo cartello però, è diventato virale. «Dopo un mese, siamo ancora sommersi da chiamate e congratulazioni, noi avevamo deciso di mettere questo cartello, non per avere un riscontro mediatico, ma volevamo semplicemente avvisare i nostri clienti che ci saremmo assentati per un motivo bello.

Spesso troviamo chiuso per ferie - ha spiegato Giovanni - Noi abbiamo chiuso per realizzare il nostro sogno». 

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Quello di Giovanni e Pina è un percorso durato cinque anni, una strada voluta fortemente da Pina: «Per tanti anni abbiamo provato ad adottare in Italia, ma l’adozione nazionale è molto complicata. Noi avevamo perso le speranze dopo la prima delusione. Ci hanno chiamato un giorno da Roma, per adottare tre bambini, ma al momento della scelta, noi non li volevamo separare, ci hanno detto che non era possibile e abbiamo rinunciato».

Lo scorso mese sono partiti in due per Bogotà, Columbia e sono ritornati in quattro il 25 dicembre.

«La gioia non si può spiegare, ancora oggi sono emozionato. Non dimenticheremo mai il primo abbraccio. Si è creato da subito un fortissimo legame con i bambini - ha spiegato Giovanni - È arrivato tutto in maniera così naturale».

Josef e Derek, hanno 2 e 4 anni, e nonostante la loro tenera età, sono dei bambini che hanno vissuto tante sventure. «Josef ha un carattere molto forte, sembra già un ometto, è molto intelligente ed intraprendente. Derek è molto dolce e sorridente».

Giovanni e Pina, dal primo incontro ad oggi, con il loro amore e il loro supporto, provano ogni giorno a restituire il sorriso a questi due bambini che di affetto ne hanno bisogno a dismisura. E non smettono di invogliare: «Adottate. Bisogna adottare, nel mondo ci sono tantissimi bambini che aspettano qualcuno che possa prendersi cura di loro e soprattutto aiutate chi ha deciso di intraprendere questo percorso, soprattutto per l’adozione internazionale, è un percorso lungo e faticoso”.

Durante il loro percorso a Bogotà, Giovanni e Pina hanno preparato i bambini al cambio di nazione e al cambio radicale di vita che avrebbero avuto. «Da quando siamo tornati dormiamo tutti e quattro nel lettone, si stanno ambientando piano piano, non sono ancora abituati al fuso orario, ma noi siamo con loro non si può spiegare l’emozione che provo ogni mattina». 

«Non basta mettere al mondo un figlio per dire di esserne anche padri o madri e d’altra parte padri non si nasce, lo si diventa. E non lo si diventa solo perché si mette al mondo un figlio, ma perché ci si prende responsabilmente cura di lui. Tutte le volte che qualcuno si assume la responsabilità della vita di un altro, in un certo senso esercita la paternità nei suoi confronti». Papa Francesco lo aveva già scritto alcuni mesi fa nella Lettera Apostolica Patris corde, in cui parlando della figura San Giuseppe invitava il mondo a riflettere e riscoprire il tema della paternità.

«Dopo una giornata di lavoro, torno a casa e ogni stanchezza passa nel sentire quelle vocine pronunciare la parola papà». «La mattina quando mi sveglia sembra ancora un sogno, sono pazza di loro. In così poco tempo, siamo legati a questi due bambini di un amore viscerale».

Giovanni e Pina sono l’esempio che chi sceglie di accogliere la vita attraverso la via dell’adozione non vive un tipo di legame secondario, non è un ripiego. Questo tipo di scelta è tra le forme più alte di amore e di paternità e maternità.

Non bisogna avere paura di scegliere la via dell’adozione, di assumere il “rischio” dell’accoglienza. L’adozione, l’accoglienza, la nascita di un figlio sono un rischio, sì: «Avere un figlio sempre è un rischio, sia naturale sia d’adozione. Ma più rischioso è non averne.

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