Coronavirus, infermieri in rivolta da Torre del Greco a Castellammare: «Ci trattano da untori»

Coronavirus, infermieri in rivolta da Torre del Greco a Castellammare: «Ci trattano da untori»
di Fiorangela d'Amora e Aniello Sammarco
Sabato 9 Maggio 2020, 09:11 - Ultimo agg. 11:10
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A Torre del Greco nel mirino perché ammalati, a Castellammare perché accusati di aver favorito la diffusione del coronavirus: ora il personale degli ospedali si ribella. Parlano di crollo psicologico e si dicono abbandonati dai vertici aziendali, respingendo l'ipotesi di ammutinamento, i 12 infermieri e i 4 operatori sociosanitari del Maresca, risultati ammalati contemporaneamente e la cui assenza di massa ha creato forti disagi al pronto soccorso. Lo fanno ricordando il lavoro svolto in questi due mesi di emergenza e come problemi e possibili soluzioni erano state scritte in una lettera a metà aprile, indirizza al direttore sanitario e al responsabile dell'area di primo intervento: «Sottolineavamo la necessità di incrementare il personale sanitario, sostituire gli attuali e precari dispositivi di sicurezza e realizzare una strategia organizzativa e assistenziale solida. Attendiamo ancora risposte. Dopo due mesi, sottoposti a tale stress fisico e psicologico, siamo crollati». Carichi di lavoro estenuanti, secondo quanto raccontano: «Stiamo lavorando di fatto da due mesi in tre infermieri e due operatori sociosanitari per l'assistenza ai pazienti afferenti in pronto soccorso per accettazione medico-chirurgica sia per i pazienti in area Covid-sospetti con sei posti letto, aumentati a nove nei momenti di grossa criticità. Per i primi 15 giorni di marzo il personale era stato ulteriormente ridotto a causa di dieci colleghi in quarantena domiciliare per essere stati a contatto con un caso sospetto, poi risultato positivo, senza la protezione dei dispositivi necessari».

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«Abbiamo tenuto duro perché siamo dei professionisti rivendicano e per prima cosa c'è l'assistenza dignitosa ai pazienti. Ma ogni giorno siamo mandati allo sbaraglio ad elemosinare i dispositivi che ci spettano, a fare turni da 6 ore in area Covid per risparmiare la tuta, senza zone filtro ben definite. Il nostro stress viene associato meschinamente a fatti economici, siamo profondamente offesi. Sicuramente è un nostro diritto avere ciò che ci è dovuto, ma ci sarà tempo. Ora pretendiamo di lavorare in maniera adeguata per salvaguardare i pazienti, noi e le nostre famiglie».
 


Focolai all'interno dell'ospedale San Leonardo, i sindacati insorgono contro la direzione sanitaria dell'Asl Napoli3Sud. Ad alzare la voce è Lorenzo Medici, segretario regionale di Cisl Fp Campania. «Un ospedale bollato con la gravissima etichetta di focolaio, vertici dirigenziali che imputano le colpe al personale sanitario, reo di aver contratto il virus all'esterno del presidio ospedaliero. Sullo sfondo aggiunge Medici con Luigi D'Emilio segretario metropolitano Cisl Fp Napoli - 23 sanitari infettati dal Covid19. Chi riveste un ruolo di responsabilità, prima di puntare il dito, deve accertare se tutti i percorsi di prevenzione e i dispositivi di protezione siano stati adottati». I casi positivi hanno riguardato dall'inizio della pandemia soprattutto il personale del pronto soccorso e di medicina d'urgenza, testimoniando che qualcosa nei protocolli interni non ha funzionato. «Non si può dire semplicemente che qualcosa è andato storto. Ci sono state inchieste dell'amministrazione sanitaria e un fascicolo aperto dalle forze dell'ordine. La risposta della direzione sanitaria e dell'Asl Napoli 3 si riassume in un'accusa ai dipendenti infetti: è inconcepibile. Medici, infermieri e operatori socio sanitari lavorano con sacrificio e abnegazione, spesso lontani dai propri cari da mesi».

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