De Luca, la movida e la vodka dalle fogne: «Il virus contagia chi beve»

De Luca, la movida e la vodka dalle fogne: «Il virus contagia chi beve»
di Delia Paciello
Sabato 30 Maggio 2020, 19:52 - Ultimo agg. 19:53
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Vincenzo De Luca si conferma una vera e propria star del web in grado di scatenare polemiche ma anche apprezzamenti da parte dei suoi numerosi fan. Il presidente della Campania è infatti riuscito ancora una volta ad accendere le piazze virtuali con le sue conferenze in diretta e le sue dichiarazioni: in un momento in cui è particolarmente calda la situazione rispetto al tema movida, con lo scontro vivo tra Regione e il sindaco De Magistris, la questione alcolici e la sua battuta sulla vodka tengono banco sui social. Dopo l’appello di qualche giorno fa diretto ai giovani a «non rincretinirsi con alcool e pasticche» nei locali di quei «gestori irresponsabili e senza scrupoli che rovinano intere generazioni», affonda ora il colpo: «Evitate di comprare i superalcolici che fanno schifo, perché se vi vendono vodka a 50 centesimi al bicchiere dovete sapere che quella vodka non viene da San Pietroburgo, ma viene distillata nelle reti fognarie delle nostre città», è la frase che impazza sul web. Un vero e proprio show quello del governatore della Campania, ormai amatissimo dai suoi innumerevoli estimatori ma allo stesso tempo oggetto di numerose ironie. Dalle svariate parodie ai meme a lui dedicati, i social si sbizzarriscono: «Presidente, noi beviamo solo vodka originale di San Pietroburgo, abbiamo paura del suo lanciafiamme»; «Io ti seguo e ti adoro perché sei un personaggio, mi fai ridere»; «Sei un grande, siamo fortunati ad averti in Campania. E poi io aspetto le tue dirette ora che non posso andare a cinema e teatro».
 

 

Questa volta però attorno alla decisione regionale c’è davvero tanta polemica: sono tanti quelli che trovano assurde le restrizioni di orario e sono più vicini all’idea di De Magistris. Per molti la riduzione degli orari delle attività potrebbe addirittura portare l’effetto contrario, ossia l’affollamento nelle poche ore di apertura invece che la distribuzione degli utenti durante il giorno. Di fatto chiudere prima i baretti nello scorso weekend non ha evitato gli assembramenti nei luoghi più frequentati, e anche il veto sugli alcolici dopo una certa ora non garantirebbe una limitazione sulla diffusione del virus: «Ma il coronavirus attacca solo dopo una certa ora e se bevi alcolici?»; «Non sapevo di vivere nel 1920. Il proibizionismo 2.0 sta per cominciare»; «Dopo le 22 il Covid ti infetta solo se bevi alcolici, prendete nota», puntualizza subito qualcuno.

I controlli nei posti strategici della città sembrerebbero le soluzioni migliori per evitare gli assembramenti: controlli che ormai sul lungomare o nelle zone più frequentate non ci sono già da parecchio. «Non siamo abbastanza per vigilare sugli assembramenti a Napoli, dobbiamo per forza far finta di non vedere», avrebbe confessato qualche poliziotto in via ovviamente non ufficiale. Versione che tuttavia sembra plausibile, unica spiegazione logica alla mancanza di controlli nella folla di via Caracciolo, o del Vomero, o del centro storico, o di via Chiaia e di tante altre zone gremite di gente mentre continuano gli accertamenti a campioni solo in locali, ristoranti, bar. Alle attività insomma, che anche se chiuse non evitano assembramenti.

Sembra evidente a molti che il momento è pieno di contraddizioni: «Se riapre il calcio con il beneplacito delle istituzioni, dove non si portano mascherine e non si rispettano le distanze di sicurezza, è ingiusto che ci siano altre attività ancora chiuse. Sempre leggi a favore dei potenti del mondo del calcio mentre tante altre attività sono ormai costrette a chiudere definitivamente», puntano subito il dito coloro che risultano ancora enormemente penalizzati dalle restrizioni da Covid-19. Eppure pare che contemporaneamente la Campania sia pronta anche alle votazioni. «Le aperture che ci sono state sono per prepararsi alle elezioni: tutto quadra, bisogna votare prima possibile», insinua qualcuno con mo’ polemico.

Ma anche spostandosi all’interno della stessa regione si trovano interpretazioni totalmente differenti del decreto regionale: se a Napoli si cena liberamente a tavola anche a gruppi numerosi, ovviamente senza mascherine e senza distanza fra i commensali dello stesso tavolo, basta spostarsi ad esempio sulla costiera amalfitana, uno dei luoghi più apprezzati dal turismo mondiale e citata recentemente anche dal New York Times come meta turistica più amata anche dall’altra parte del mondo, per vedere che numerose attività sono ancora chiuse mentre cercano di mettere a norma i locali. «Ci stiamo attrezzando per garantire la distanza di un metro che ci è stata imposta anche fra i commensali dello stesso tavolo, ma questo purtroppo limiterà notevolmente il lavoro e tanti ristoranti non riusciranno ad aprire», commenta Gabriele Rispoli, presidente dell’associazione dei ristoratori di Positano. A Salerno anche regole diverse: per esempio bisogna lasciare il nome degli ospiti che si accomodano al tavolo, cosa non prevista nel capoluogo campano dove c’è già ad oggi molta più libertà.

«Ormai nella nostra città siamo a contagio zero, inutile mantenere tutte queste accortezze»; «Meglio vivere e rischiare che morire non vivendo», è la voce che si diffonde fra i napoletani. Sarebbe tuttavia bello e rassicurante se invece la notizia del contagio zero venisse diffusa dagli enti scientifici e istituzionali: l’annuncio che in tanti aspettano e sognano.

E invece il pericolo, secondo De Luca, c’è ancora, eccome se c’è. Specie in vista delle riaperture di tutte le regioni, anche quelle in cui i contagi sono ancora alti definite illogiche dallo stesso governatpre. Anche qui la polemica è fitta sui social, con il Sud che teme l’ondata dei turisti del Nord, mentre auspica invece di riaprire le attività e di godere del turismo locale.
Ma questa è ancora un'altra storia.

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