Omicidio Mele, assolto in Appello il ras Gennaro Marino

Contro di lui le accuse di ben sedici collaboratori di giustizia

Omicidio Mele, assolto in Appello il ras Gennaro Marino
di Luigi Sabino
Giovedì 24 Novembre 2022, 17:38 - Ultimo agg. 25 Novembre, 07:05
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Non fu Gennaro Marino (in foto) a ordinare l’omicidio di Massimo Mele nel 2003. E’ quanto deciso ieri mattina dai giudici della V sezione della Corte d’Assise d’Appello confermando la sentenza di primo grado emessa poco più di un anno fa. Una sentenza contro la quale la DDA si era opposta chiedendo, invece, una condanna a trent’anni di reclusione, forte delle dichiarazioni di ben sedici collaboratori di giustizia che proprio contro il boss delle Case Celesti puntavano il dito, indicandolo come mandante. Accuse che, tuttavia, sono state smontate dagli argomenti difensivi avanzati dall’avvocato Luigi Senese, penalista di fiducia dell’imputato.

Un delitto, quello di ‘Papagnella’, questo il soprannome della vittima, che, verosimilmente, sembra essere destinato a rimanere un mistero. Eppure, i collaboratori, ai quali, in tempi più recenti si erano aggiunti personaggi del calibro di Pasquale Riccio e Gennaro Notturno, entrambi esponenti di spicco della cosiddetta ‘scissione’, non avevano avuto nessun dubbio nell’indicare Marino e i suoi accoliti come autori del delitto avvenuto nel 2003.

Un omicidio, hanno riferito nei loro verbali, che non avrebbe avuto nulla a che fare con le dinamiche criminali di Secondigliano e Scampia ma che sarebbe stato commesso per motivi passionali.

La vittima, infatti, avrebbe avuto una relazione con la moglie di un affiliato ai Marino, Vincenzo Vitale. Quest’ultimo, con il suo onore messo alla gogna, si sarebbe più volte lamentato con i Marino, i quali avrebbero acconsentito all’uccisione di Mele anche per pregressi contrasti relativi alla gestione delle attività criminali nella zona delle cosiddette ‘Case Celesti’. In particolare, hanno riferito i pentiti, i Marino temevano che Papagnella, grazie al suo carisma malavitoso, potesse metterli in ombra con i vertici dell’organizzazione fino al punto da soppiantarli.

L’agguato, secondo il racconto, tra gli altri di Riccio, fu messo a segno dallo stesso Vitale, accompagnato sul posto da Gaetano Marino, fratello dell’imputato e altro esponente di spicco del sodalizio. Un omicidio che, per diverso tempo, fu ritenuto strettamente collegato alle fibrillazioni che, in quel periodo, stavano montando all’interno della cosca Di Lauro di cui sia la vittima sia i presunti assassini erano, all’epoca, parte integrante. Fibrillazioni che porteranno, dopo qualche mese, allo scoppio della sanguinosa faida tra il clan di via Cupa dell’Arco e i ribelli guidati dagli Amato-Pagano.

Solo con le prime collaborazioni, però, gli inquirenti avrebbero avuto elementi sufficienti per accusare Marino. I pentiti, infatti, riferirono che la morte di Mele ebbe delle conseguenze anche all’interno della stessa ‘scissione’ perché la vittima era molto legata agli Amato-Pagano con questi ultimi intenzionati a vendicarla alla prima occasione. Non a caso Vitale, presunto autore materiale del delitto, fu trucidato nel 2005. Sette anni più tardi fu la volta di Gaetano Marino, ucciso nel corso dell’ennesima guerra tra clan. Alla sbarra, quindi, era finito il solo Gennaro Marino. Ieri mattina, però, il verdetto che lo assolve da ogni accusa.

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