Morto Enzo Moscato, l'addio nella sua Sala Assoli ai Quartieri Spagnoli di Napoli

La camera ardente nel teatro che lui stesso inaugurò

L'ultimo saluto a Enzo Moscato
L'ultimo saluto a Enzo Moscato
di Luciano Giannini
Lunedì 15 Gennaio 2024, 07:00 - Ultimo agg. 20:02
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Nel regno dei Quartieri Spagnoli, tra piazza Marinelli e vico Lungo Teatro Nuovo. Un centinaio di metri separa l'ultima sua riservata dimora - scelta l'anno scorso perché c'è l'ascensore - dalla Sala Assoli. Fu lui a inaugurarla, nel novembre 1986, con «Compleanno», omaggio all'amico e compagno d'arte Annibale Ruccello, arraffato dalla morte due mesi prima. Stamattina, freddo gennaio, il microcosmo di quelle strade diventa macrocosmo, per incanto d'arte e d'emozione; perché dai Quartieri Enzo Moscato trasse linfa per il proprio magistero poetico di drammaturgo-attore. E ora i Quartieri piangono la sua morte. La respirano.

Moscato è cognome noto in zona.

I sei fratelli gli hanno dato tanti nipoti, che ora affollano il piccolo appartamento al primo piano. Nel brusio, improvvisa svetta una voce commossa: «Questa è la tua ultima recita».

Intanto, in sala Assoli, parte del suo popolo si è raccolto per dirgli addio. La notizia della morte, l'altra sera, è giunta inattesa. Proprio in Sala Assoli è terminata ieri la seconda edizione della rassegna a lui dedicata. Il programma prevedeva: Isa Danieli nel suo «Tempo che fu di Scioscia» e il film su «Luparella», di Giuseppe Bertolucci. «Ne faremo un appuntamento stabile, perché sono in tanti a chiedere di rappresentare i titoli di un maestro», spiegano Igina Di Napoli e Cristina Donadio, amiche di una vita e compagne d'arte; Igina, suo socio in Casa del Contemporaneo; Cristina, una delle attrici di riferimento e fedele presenza nella compagnia teatrale Enzo Moscato. 

Claudio Affinito non era soltanto suo amministratore da circa 40 anni, ma la porta che lo connetteva col mondo, perché Enzo viveva nel proprio, autarchico e fedele a un inimitabile linguaggio d'arte e di indipendenza: «In pochi lo sapevano, ma da due giorni aveva perso conoscenza. Colpa di tanti malanni che la sua anima delicata non ha voluto più affrontare». Enzo si è abbandonato tra le braccia della morte. «Alle 20 l'ho lasciato per andare da Isa in Sala Assoli. Sono tornato e non c'era più». E la Danieli? «L'hanno avvisata dopo lo spettacolo». Isa: «Vero! E non ho capito più niente. Inebetita». Ora si discute se confermare o no la replica domenicale: «Io andrò in scena. Perché questo nostro lavoro non tene pace. E perché se non lo faccio, Enzo se piglia collera. Lo so!». Così è stato.

Sala Assoli diventa teatro, casa, tempio laico: stamattina ospiterà la camera ardente, dalle 10 alle 14. Igina: «La bara, chiusa, sarà sul palcoscenico. Intorno, organizzeremo un percorso per chi vorrà rendergli omaggio. Nell'aria ascolteremo la sua voce, le sue canzoni. Sulle pareti già brillano le foto che lo ritraggono mentre recita». Alle 15 i funerali, nella chiesa di San Ferdinando.

 

Isa: «Un riservato poeta della scena. Me lo presentò Annibale Ruccello. Ci sedemmo su un letto e lui mi lesse Luparella. Quando finì, piangevo. Ma questa è prosa. Devi trasformarla in teatro, gli dissi. Lui lo fece. Il resto è storia». Cristina: «Quel che c'è nello scrigno della compagnia lo rappresenteremo ancora. Fedeli a una sua battuta: “E pporte chiuse s'hanno arapì. L'aria pulita ha da trasì' int''o tempio...” Sa, al principio, questo mestiere mi scivolava addosso. Grazie a Enzo, ho scoperto che il teatro non è consolatorio, ma una ferita aperta... è stare borderline, sul confine, nel diverso di un altrove. La sua opera è patrimonio dell'umanità. Nostro dovere è tramandarla alle nuove generazioni». 

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«Sì, con lui se ne va un mondo. E noi dovremo consegnarlo al futuro». Per il regista Francesco Saponaro, Moscato fu «amico, guida e maestro». La lezione che ci lascia? «Al di là del sistema, della politica, della burocrazia, il teatro è atto umano e magico, che esige rigore, disciplina». Come gli disse Leo de Berardinis, amico d'arte e di vita, «il desiderio del tuo fragile corpo di attore è il desiderio di una canzone nuova, di un canto nuovo spremuto dalle macerie, dal dolore e dal sorriso». 

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