“La bohème” di Emma Dante, al teatro San Carlo di Napoli una favola arcobaleno

Torno l’allestimento con suore, prostitute, danzatori, mimi e drag queen

Una scena de “La bohème”
Una scena de “La bohème”
di Stefano Valanzuolo
Domenica 2 Luglio 2023, 00:00 - Ultimo agg. 17:55
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Benedetta sia sempre «La bohème», che in ogni momento dell’anno e della vita fa bene al cuore e alla testa. L’allestimento firmato da Emma Dante, nuovamente al San Carlo da venerdì scorso (dopo meno di due anni) concede molto allo sguardo e, al netto di eccessi perseguiti per scelta e di qualche trovata sin troppo ammiccante, funziona bene. L’idea teatrale viene declinata con coerenza, lo spettacolo ha ritmo sostenuto, la gestione degli spazi scenici è accorta, il rispetto della musica assicurato. L’ambientazione, a giudicare dalle citazioni pittoriche, guarda alla fine dell’800, ma cambia poco. 

Nella lettura di Dante, «La bohème» diventa una sorta di favola metropolitana, popolata da suore, prostitute, danzatori, mimi e drag queen ante litteram.

Frammenti di vita al confine del sogno, sul margine labile che separa la strada dal cielo. Inutile accanirsi sulla filologia, tanto il sublime, qui, si alimenta di musica, ed è imperturbabile. 

Francesco Lanzillotta, dal podio, non cerca effetti speciali ma si muove con serena consapevolezza tra quelli stabiliti da Puccini, che bastano e avanzano. Direttore affidabile, Lanzillotta ricava dinamiche vivaci, offre squarci di lirismo accattivante, prova a valorizzare il rigoglio sinfonico della scrittura attraverso la definizione di una trama sonora dai colori non scontati. L’orchestra del San Carlo mette a frutto la dimestichezza consolidata con il grande repertorio e, condotta su binari di sana normalità musicale, offre una performance pulita, magari senza picchi da immortalare, ma al riparo da sbavature. 

Selene Zanetti torna, come nel 2021, a vestire i panni di Mimì e accede, pur nei margini della caratterizzazione delicata del personaggio e dei toni morbidi connotanti, a una performance meno sfumata, ossia vocalmente più esplicita. Vittorio Grigolo, per la prima volta al San Carlo, riprende il ruolo a lungo frequentato di Rodolfo: la voce, si sa, è bella, il fraseggio è chiaro, il lirismo è dichiarato. Peccato per una certa reiterata tendenza all’enfasi, sin anche declamatoria, che talora penalizza espressività ed eleganza degli esiti. Applausi cordialissimi anche per Musetta, figura pucciniana tra le più care: il soprano Laura Ulloa ha voce piccola ma aggraziata e giustamente fresca appena minata da qualche intemperanza. Dalla fitta schiera degli altri personaggi, in un cast complessivamente all’altezza del compito, svetta il Marcello vivace di Andrzej Filonczyk. Schaunard e Colline trovano interpreti puntuali in Pietro Di Bianco e Alessio Cacciamani; Matteo Peirone presta carattere e voce a Benoit e Alcindoro.

Nello spettacolo, la visione registica di Emma Dante appare supportata e felicemente integrata dalle scene di Carmine Maringola (col disegno luci di Carmine Zucaro) che collocano i personaggi in un mondo sospeso tra realtà urbana e fantasia d’artista, per lo più arrampicato sui tetti. Lo sguardo dello spettatore finisce con l’inseguire molte storie che si sfiorano senza toccarsi, vite comunque che si appartengono. I costumi di Vanessa Sannino conciliano il tratto surreale (pensiamo solo ai giocattoli animati di Parpignol) con la quotidianità dei protagonisti, in ciò assecondando la lettura teatrale. 

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Al successo finale della serata, garantito da Puccini, contribuiscono il coro del teatro, preparato da José Luis Basso, e le voci bianche (guidate da Stefania Rinaldi), in evidenza nel secondo quadro. La massiccia presenza di spettatori stranieri - festanti prima, durante e dopo la recita - conferma come il titolo pucciniano sia uno degli emblemi dell’opera italiana, ovvero dell’opera tout court. Ci sono ancora cinque repliche, fino al 7 luglio. 

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