Giorgio Napolitano, gli amici di Napoli: «Innamorato della città da Chiaia alle periferie»

I ricordi dei miglioristi Mola, Russo e D’Alò: «Legatissimo al suo collegio di Ponticelli»

Giorgio Napolitano in visita a Napoli
Giorgio Napolitano in visita a Napoli
di Adolfo Pappalardo
Sabato 23 Settembre 2023, 23:45 - Ultimo agg. 25 Settembre, 07:10
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Oltre al cordoglio del mondo istituzionale, di quello politico c’è anche, e soprattutto, quello del mondo dell’ex Pci. Degli anni della militanza, quella vera, consumata tra comizi e incontri in cui dirigenti di peso come Giorgio Napolitano non perdevano mai il contatto con il popolo. Anzi. Prendi Ponticelli-San Giovanni, ex quartiere operaio, per anni il collegio del presidente appena scomparso. E per anni, ogni volta che poteva, era lì per parlare con i compagni. Seguire il collegio, come si faceva un tempo. Senza fare distinzione tra miglioristi, ingraiani o operaisti. Poi, è chiaro, con alcuni, miglioristi come lui che a Napoli si contavano sulle dita delle mani, si era instaurato un rapporto speciale. 

Come il suo figlioccio politico Umberto Ranieri, ex sottosegretario, che ricorda come «sino all’ultimo ha continuato a riflettere sulle vicende politiche ed economiche. Con un sguardo sempre attento e curioso». Ma sono tanti i ricordi dei vecchi compagni del Pci napoletano di quegli anni. Persone a lui legatissime come Alfredo Mazzei o Peppe Russo che ricorda proprio il suo legame con Ponticelli. 

«Giorgio e Gerardo Chiaromonte erano di casa nel quartiere e le prime esperienze di militanza politica le ho fatte grazie ai loro insegnamenti.

Senza contare l’affetto che si è costruito poi negli anni», ricorda l’ex capogruppo Pd in consiglio regionale che ebbe poi la possibilità di essere tra gli elettori nella sua seconda salita al Quirinale. «Con lui scompare una delle figure più significative della storia politica di questo Paese».

Un ricordo non legato alla sua lunghissima vita istituzionale? «Era una figura autorevole ma anche sempre umana e popolare: non usava toni comizianti, rifiutava ogni demagogia e affidava tutto alla persuasione. E a noi, più giovani, ricordava come bisognava riflettere sulle conseguenze di ogni nostra affermazione. Ma soprattutto - continua Russo - non ha mai perso il contatto, anche fisico, con i suoi elettori. Ricordo l’abitudine di chiudere ogni manifestazione a Ponticelli con un incontro alla palestra Coppi in cui si mangiava tutti assieme. Lui parlamentare con noi giovani e gli operai del quartiere». E ancora: «Non amava le piaggerie, le mal sopportava: era invece un uomo concreto, diretto e franco con una grandissima cultura». 

«Ho avuto il privilegio di essergli vicino perché era già legato a mio zio Antonio (senatore del Pci, ndr) con nuotavano assieme», ricorda Gennaro Mola, ex assessore di palazzo San Giacomo. Anche lui come Russo tra il gruppo dei miglioristi all’ombra del Vesuvio. «E grazie anche ad Umberto Ranieri ci si vedeva spesso a Napoli. Teneva moltissimo - ricorda Mola - alla sua città e sondava noi più giovani per capirne tutti gli umori o quello che succedeva. Una persona coltissima da cui potevamo solo imparare». Un maestro per un’intera generazione di giovani dirigenti del Pci. «Ma con lui non potevi essere impreparato, era meglio dire che non conoscevi nei dettagli quell’argomento». 

Mai un attrito, mai un malinteso.

«Ci rimase male solo quando, alle politiche del ‘96 non si candidò nel suo collegio storico di Ponticelli ma era capolista nel proporzionale. Un risultato storico per il partito che vinse tutti i collegi ma il sistema non fece scattare per lui il seggio», ricorda un altro migliorista come Geppino D’Alò, nella segreteria napoletana del Pci negli anni ‘70 che sottolinea la «sua attenzione verso noi giovani: ci invitava a leggere, ad approfondire sempre. E lui stesso lo faceva in continuazione. Ricordo quando andavo a trovarlo a Botteghe Oscure: era il responsabile dell’economia del partito e il suo tavolo era sempre invaso da studi e dossier da tutto il mondo. Che lui leggeva anche quando mangiava, senza alzarsi dalla sedia». 

 

«Non ero un migliorista ma ero tra gli amici più cari di Gerardo Chiaromonte e Giorgio. Il faro era il partito e Giorgio prima di tutto era un comunista», è la sintesi che ne fa l’ex deputato Aldo Cennamo, ex segretario proprio della sezione di Ponticelli: la cassaforte dei voti del Pci e collegio rosso assieme alla vicina Castellammare. 

«Napolitano era profondamente legato alla nostra sezione: si sedeva e ascoltava le opinioni dei compagni anche su fatti di una certa rilevanza. Era un modo - ricorda Cennamo - per tastare il polso del nostro popolo, della gente vera. Era una caratteristica del partito ma in particolare di Giorgio: grazie a figure come lui il partito è letteralmente esploso, in termini di consensi, nel 1975. E, guardi, parliamo di una città che era profondamente monarchica». 

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E ieri mattina il personale del Gambrinus ha voluto ricordare Napolitano con un minuto di raccoglimento sfociato in un lungo applauso. «Re Giorgio», infatti, come lo chiamavano affettuosamente anche qui, era solito fare sempre tappa allo storico locale su piazza Plebiscito durante i suoi soggiorni partenopei, sempre accompagnato dalla moglie Clio.

Un legame strettisimo quello tra Napolitano e la sua città, che palazzo San Giacomo sottolinea non solo con le bandiere a mezz’asta ma anche con il gonfalone del Comune da stamani alla Camera ardente al Senato. 

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