Napoli, la presentazione del libro «La Cattedrale di Sabbia» il 23 ottobre alla Mondadori

La nuova creatura letteraria del curatore del libro Napoli Campione, Leonardo Patrignani

Leonardo Patrignani
Leonardo Patrignani
Sabato 14 Ottobre 2023, 15:01
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Cosa hanno in comune il tema della memoria, delle interfacce neurali, delle neuroscienze cognitive, delle intelligenze artificiali, dell’elaborazione del trauma, della memoria e della ricostruzione dei ricordi e della neuroprivacy? L’essere protagoniste della nuova creatura letteraria del curatore del libro Napoli Campione, Leonardo Patrignani che in questa intervista racconta cosa ha significato curare il volume sul Napoli Campione e il tema del suo nuovo romanzo: “La cattedrale di sabbia” che verrà presentato a Napoli, il 23 ottobre alle ore 18:30 presso Mondadori Bookstore, Via Luca Giordano, 73/A. 

Cosa significa curare un libro che parla di calcio, del Napoli Campione?

Significa entrare in un mondo variopinto, autentico, ricco di sfaccettature. L'autore, Mimmo Pesce, è un personaggio adorabile, e nel suo cuore di emigrato partenopeo si sente quella passione unica che solo i napoletani hanno verso i propri colori sociali. Ho imparato tante cose seguendo Mimmo nelle sue presentazioni, diventando suo amico e ascoltando i racconti delle usanze dei suoi genitori, delle scaramanzie dei suoi concittadini, di quella maniera di affrontare la vita sapendo sempre reinventarsi, adattarsi, trovare modi estrosi per cavarsela in ogni circostanza. E poi è stato un viaggio anche nella Storia di questa squadra, nelle montagne russe che hanno caratterizzato gli anni da Maradona a oggi. Sono estremamente orgoglioso di aver contribuito alla pubblicazione di questo libro.

Come nasce l'interesse per la scrittura e lo storytelling?

La scrittura è dentro di me da sempre. All'età di sei anni mi inventavo storie con protagonisti i pupazzetti che compravo in edicola, tra gli otto e i nove divoravo i primi romanzi d'avventura, poi ho scoperto Stephen King e ho capito che quello era il mestiere dei miei sogni. Una volta diventato scrittore professionista, mi sono appassionato a tutto ciò che riguarda l'analisi strutturale delle storie. Lo storytelling è un'arte, un'arma, un metodo, a seconda di come viene utilizzato fa prendere voti, vendere prodotti, cambiare idea, intrattenere... questo meccanismo ha su di me un fascino notevole, quindi cerco di studiarlo da dietro le quinte, e più lo studio, più mi rendo conto del suo potere.

Come autore, come ti definisci? Che tipo di scrittore sei? Quali sono le muse ispiratrici e gli autori della tua formazione professionale?

Sono un curiosone.

Mi appassiono ai temi centrali dei romanzi che scrivo, e quindi prima di buttar giù una sola riga passo in realtà un sacco di tempo a studiare, ad approfondire. La fase di documentazione è per me uno dei momenti più interessanti nella lavorazione di un romanzo. Come autore che fa ruotare molte delle sue trame attorno a una sorta di speculazione fantascientifica, ho bisogno di un grosso bagaglio di informazioni prima di architettare una trama. Tra le ispirazioni, come non citare di nuovo King. È per seguire le sue orme che ho cominciato a scrivere. Ma sono cresciuto anche con Verne, Salgari, Clive Barker, e in età più matura ho adorato Philip Dick, Lem, Dennis Lehane e tanti altri. Tra i generi, fantascienza e thriller sono quelli che mi hanno influenzato di più.

Cosa significa fare oggi storytelling al motto di "Show me, Don't Tell me"?

Significa comprendere la natura stessa dell'arte del racconto. La massima dello show don't tell ha un significato più ampio del semplice "mostrare invece di dire". È qualcosa di strettamente connesso alle nostre stesse funzionalità cerebrali. Riuscire a spingere i nostri lettori a riconoscere determinati pattern, a entrare in empatia con i personaggi grazie alla messa in scena delle loro emozioni e non solo alla semplice trasmissione di informazioni a proposito del loro stato d'animo, scatena la produzione di una serie di neurotrasmettitori. Chi tiene il nostro libro tra le mani sarà più attento, vigile, incuriosito dalla storia, e si sentirà connesso con i protagonisti. È una questione di dopamina, di noradrenalina, perfino di ossitocina. Del resto il nostro cervello è una centrale chimico-elettrica, e chi lavora nel mondo dell'intrattenimento deve tenere conto degli effetti che suscita il suo lavoro sul fruitore finale.

Scrivere è per te, cosa? Una necessità? Una ginnastica dell'anima?

È una delle maniere in cui preferisco esprimermi. In passato ho pubblicato dei dischi, e il mio canale di sfogo era la musica. Il palco, il microfono, e a monte la composizione dei brani. Oggi sono immerso in questo meraviglioso universo creativo composto non solo dai miei romanzi, ma da quelli degli autori e delle autrici che seguo come coach, e non potrei stare senza. Mi nutro di storie. Allo stesso tempo cerco sempre di far scendere dal piedistallo chi crede che fare lo scrittore equivalga a occupare un gradino più alto in chissà quale gerarchia della società. Niente di più sciocco. Siamo, in fondo, degli intrattenitori. Questo è il nostro mestiere. Menestrelli al servizio del pubblico. E questo è un ruolo di tutto rispetto, intendiamoci. Una bella storia ha un potere immenso sulla persona che ne gode. Ma il suo autore non è certo un Padreterno o un essere superiore.

La Cattedrale di sabbia è l'ultima tua opera ed è ambientata nel futuro. Raccontaci la genesi di questo tuo ultimo progetto letterario.

Coltivavo da anni il sogno di scrivere un romanzo per un target di lettori adulti, dopo tante esperienze nella narrativa per ragazzi. Su invito di una collana favolosa come Oscar Vault Mondadori, ho dunque messo insieme le mie due passioni da lettore (fantascienza e thriller), sfruttando un setting che volevo da tempo utilizzare: il vicino futuro. Un futuro credibile, a soli vent'anni da oggi. Questo mi serviva per far germogliare semi che oggi stesso vediamo attorno a noi. Intelligenze artificiali, metaverso, realtà aumentata e tutto ciò che ai nostri giorni vediamo crescere con una rapidità estrema, nel mio 2045 ha raggiunto un certo livello di definizione ed è uno scenario a cui le persone sono abituate. È qui che si scatena un vero e proprio thriller psicologico legato al tema dei falsi ricordi, un'indagine che mira alla ricostruzione di un evento tragico, un puzzle da rimettere assieme nel momento in cui ci si rende conto che le cose non sono andate come noi ricordiamo.

Nel romanzo parli di intelligenza artificiale, quale è il tuo personale rapporto con l'AI?

Al momento, direi ottimo! Leggo tantissimi saggi sul tema, collaboro con una società che sviluppa simulazioni virtuali e dunque si serve di questo strumento quotidianamente, e nel mio piccolo sfrutto al massimo le potenzialità di chatGPT anche nel mio lavoro. Di fronte a determinati compiti, e con una certa padronanza che si matura nel tempo e con l'uso, può diventare un'efficacissima assistente. Può svolgere alcuni compiti in maniera egregia, facendoci risparmiare un sacco di tempo e contribuendo anche alla fase creativa. Sono molto curioso circa lo sviluppo futuro di determinati strumenti, sia testuali come questo che grafici come Midjourney e altri.

Quale è il fil rouge che unisce le tue opere sino ad ora pubblicate e curate come Napoli Campione?

Credo che alla base del mio lavoro ci sia sempre una grande passione e un totale coinvolgimento. Raramente mi imbarco in avventure editoriali che non si poggino su queste solide basi. Che sia un mio romanzo su un certo tema, che si tratti dell'affiancamento di un autore esordiente, o di una curatela editoriale su un saggio di un autore rappresentato dall'agenzia letteraria per cui lavoro, la scintilla che mi fa dire di sì è sempre legata al cuore e al senso del progetto. È una questione di emozioni, di empatia. Devo sentirmi parte di quella storia, anche se non è "mia". È successo anche con Napoli Campione. Non serve essere un tifoso del Napoli per comprendere la magia che l'impresa dell'anno scorso ha portato con sé. L'esplosione di gioia di una città intera, a pochi mesi dal trionfo dell'Argentina ai Mondiali, è qualcosa di indimenticabile. 

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