Teatro San Carlo di Napoli, tornano i concerti di musica da camera: il primo ottobre musiche di Mozart e Brahms

Questo nuovo appuntamento vedrà esibirsi in palcoscenico il Trio composto da Gabriele Pieranunzi al violino, Ricardo Serrano al corno e Alexandra Brucher al pianoforte

Teatro San Carlo
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Venerdì 29 Settembre 2023, 16:20
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Prosegue domenica 1ottobre 2023 alle ore 18 la Stagione da Camera del Teatro di San Carlo, protagonisti i professori d’Orchestra del Massimo napoletano. Questo nuovo appuntamento vedrà esibirsi in palcoscenico il Trio composto da Gabriele Pieranunzi al violino, Ricardo Serrano al corno e Alexandra Brucher al pianoforte.

In scaletta la Sonata per violino e pianoforte in sol maggiore K 301 e la Sonata per violino e pianoforte in mi minore K 304 di Wolfgang Amadeus Mozart. Chiude il concerto il Trio per corno, violino e pianoforte in mi bemolle maggiore op.40 di Johannes Brahms.         

GUIDA ALL’ASCOLTO

A cura di Dinko Fabris Il rapporto di Wolfgang Amadeus Mozart con il violino fu condizionato per tutta la vita dall’autorità di suo padre, violinista di corte che allo strumento aveva dedicato un trattato considerato tra i più importanti del Settecento, Versuch einer gründlichen Violinschule (ossia “Metodo per una approfondita scuola di violino"), pubblicato in Germania ad Augusta dall’editore Jacob Lotte nel 1756, lo stesso anno in cui nacque Wolfgang. Questi cominciò inevitabilmente fin da bambino a cimentarsi nella composizione di sonate per violino e basso continuo, che costituiscono alcuni dei primi numeri del suo catalogo (dalla K6) nello stile galante allora imperante: sopravvivono ben 16 sonate infantili, oltre a sei sonate “milanesi” (K 55-60), pubblicate dopo la morte dell’autore, di incerta paternità. Le sonate per violino restanti nel catalogo mozartiano sono 21, pur comprendendo alcune sonate incomplete o derivanti da trascrizioni da altri strumenti e riducendo a 17 le sonate generalmente entrate in repertorio. Le prime sei sonate di questo straordinario repertorio (K 301-306) furono composte e stampate a Parigi nel 1778, come Opus 1, con dedica all’Elettrice Palatina.

Tutte sono formulate in due soli movimenti, come tipico del tempo. Le due sonate che aprono questo concerto furono composte, rispettivamente, a Mannheim (K 301) e a Parigi (K 304).

La Sonata in Sol maggiore K 301 è dunque la prima della raccolta parigina. Parte con un Allegro con spirito (come indica l’andamento, molto animato) che presenta due temi contrastanti, ben divisi tra la parte melodica del violino per il primo e quella ritmica del pianoforte per il secondo. Segue un Allegro dal sapore popolare, composto come un rondeau “alla francese” con un andamento di siciliana, in tonalità minore, nella parte intermedia.

Il secondo brano è la Sonata in Mi minore K 304, che ha la particolarità di essere l’unica delle sonate per violino mozartiane (tra quelle certe) in tonalità minore. Probabilmente era collegata alla Sonata per pianoforte K 310, composta negli stessi giorni a Parigi anch’essa in tonalità minore (di La) con cui condivide una scrittura oscura e quasi drammatica. Mozart viveva infatti in quell’anno 1778 la bruciante delusione del suo secondo viaggio a Parigi, dove aveva trovato invece della gloria e del successo vissuti dodici anni prima come bambino prodigio, l’indifferenza e l’incomprensione del pubblico. L’Allegro iniziale presenta una vera dichiarazione d’intenti del compositore che può dimostrare la totale maestria sia nella costruzione melodica che nell’utilizzo del contrappunto.

Probabilmente troppa complessità per le abitudini del pubblico parigino del tempo. Anche il successivo Minuetto continua la stessa atmosfera densa e solo parzialmente interrotta dal Trio in Mi maggiore. Si tratta certamente della più matura delle Sonate di questa prima opera stampata da Mozart ed una delle più significative del nuovo percorso personale intrapreso dal Salisburghese nella personale ricerca all’interno delle forme strumentali.

Quasi un secolo più tardi, nella felice estate del 1864 trascorsa a Baden-Baden, l’allora trentenne Johannes Brahms iniziò la stesura del suo Trio per pianoforte violino e corno op.40. Non avrebbe terminato la composizione se non l’anno successivo (la prima esecuzione avvenne a Karlsruhe il 7 dicembre 1865), e nel frattempo nella sua vita si era inserita la tragica esperienza della perdita della sua amata madre, cui dedicò poi il Requiem tedesco. L’ispirazione del brano, come spiegò lo stesso compositore ad un amico, era nata dalla magica atmosfera della Foresta Nera e non è un caso che decidesse di riunire tre strumenti da lui praticati e quindi ben conosciuti fin dalla giovinezza. È soprattutto il corno ad assumere il ruolo di evocare i suoni della natura: lo strumento scelto in origine da Brahms era infatti il corno da caccia, più complesso tecnicamente di quello “d’armonia” già molto sviluppato organo logicamente ai suoi tempi, proprio per sottolineare la relazione con quello speciale paesaggio sonoro. Nella prima esecuzione l’esecutore era Segisser, suonatore della corte granducale insieme al violinista Ludwig Strauss, con lo stesso Brahms seduto al pianoforte. Fu da allora una delle composizioni più amate dall’autore e certamente uno dei suoi capolavori cameristici.

Il Trio inizia, invece che col tradizionale Allegro di Sonata, con un Andante che viene ripetuto tre volte, inframmezzato da due andamenti più rapidi (“Poco più animato”). Il tema principale “dolce espressivo” esprime da subito un’atmosfera sognante, in cui il corno entra dalla battuta 9 con il suo effetto evocativo. Il successivo Scherzo, in Mi bemolle maggiore, ha classicamente due temi, uno più ritmico, esposto dal pianoforte, e uno più melodico con un trio “Molto meno allegro” in La bemolle minore con un solo tema e poi il ritorno della parte iniziale dello Scherzo. Il terzo movimento esprime già nel titolo “Adagio Mesto” un’atmosfera melanconica e quasi dolorosa, pur offrendo formalmente spazi di tale libertà ai tre interpreti da poter essere considerato quasi la trascrizione di una improvvisazione virtuosa. È probabile che a questo punto della composizione sia intervenuta la morte della madre e che Brahms abbia istintivamente dedicato questo movimento all’affetto perduto, inserendolo in una generale cornice di pace e serenità immersa nella natura.

Sembrerebbe altrimenti fuori contesto l’ultimo movimento, Finale “Allegro con brio”, che parte senza soluzione di continuità dall’ultima battuta dell’Adagio precedente, esplodendo come una girandola pirotecnica di energia e di idee tematiche (ben quattro, esposte nella classica forma sonata). Si tratta di un vero capolavoro per una formazione rimasta rara e che pure, grazie al corno, incarna perfettamente l’ideale romantico più puro, l’inserimento dell’individuo umano – con le sue illusioni, le fragilità ma anche entusiasmi vitali – nel cuore pulsante della natura benigna.

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