Centri antiviolenza, la sfida che il Meridione ha vinto: più strutture che al Nord

Centri antiviolenza, la sfida che il Meridione ha vinto: più strutture che al Nord
di Barbara Acquaviti
Domenica 6 Settembre 2020, 07:21 - Ultimo agg. 8 Settembre, 11:56
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I numeri non sono tutto, e non sempre bastano a dare un quadro esaustivo. Quelli presenti nella relazione sui centri antiviolenza e le case rifugio - elaborata dalla commissione Femminicidio - raccontano però di un Sud che negli ultimi anni è riuscito a ridurre il gap con il resto del Paese e il Nord in particolare. Il documento, approvato all'unanimità dalla commissione a metà luglio, arriva martedì pomeriggio nell'aula del Senato e fa riferimento ai dati elaborati da Istat e Cnr con l'ultima indagine del 2017, ma tiene anche conto delle audizioni svolte a palazzo Madama con associazioni e strutture impegnate a sostegno delle donne.

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I DATI
La fotografia scattata dall'istituto di statistica ci dice che durante l'ultima rilevazione i centri antiviolenza erano 366. Di questi, il 38,4%, ovvero 137, collocati al Nord, il 14,9%, cioè 61, al Centro e il 46,6%, per un totale di 168, al Sud. In particolare, al Nord e al Centro c'è una media di 1,1 strutture ogni 100mila donne con più di 14 anni, mentre nel Mezzogiorno la proporzione è di 1,8. La distribuzione dei centri, tuttavia, varia molto da Regione a Regione: superano di molto la media italiana la Campania, con 2,7 centri per 100mila donne, l'Abruzzo con 2,3 e il Molise con 2,1. In Basilicata il numero dei centri è invece di poco inferiore a 1 ogni 100 mila donne.
Lo scatto' in avanti degli ultimi anni è dimostrato dal confronto con il passato: i dati rivelano infatti che tra i 335 centri antiviolenza analizzati, ben il 32,5% è operativo solo dal 2014 e per lo più si trova al Sud, mentre al Nord sono collocate la maggior parte delle strutture storiche e con più lunga esperienza.
Il 2014 rappresenta infatti un po' uno spartiacque, per due ragioni prese in considerazione anche dalla commissione Femminicidio: da una parte «l'effetto di una notevole crescita di consapevolezza e impegno sul tema tra le associazioni del Terzo settore» e dall'altro «di un'azione strategica per accedere ai finanziamenti pubblici, che sono stati assegnati a questi scopi dal 2013», i quali peraltro - prevedevano un percorso privilegiato proprio per i centri di nuova apertura. Le donne che hanno contattato almeno una volta un centro antiviolenza nell'anno della rilevazione si legge ancora nel documento - sono state complessivamente 49.021, per una media su base nazionale di 156 per ogni centro. Sono 32.632, invece, le donne che hanno iniziato un percorso di uscita dalla violenza con il sostegno dei centri(in media 104 per ogni centro).

IL PROBLEMA
Se il numero delle strutture racconta di un gap che si comincia a colmare, non altrettanto si può dire per quanto riguarda le difficoltà delle donne a decidere di denunciare o chiedere aiuto. Valeria Valente, presidente Pd della commissione Femminicidio, la spiega così: «A fronte di una escalation, nel Sud gli operatori si sono certamente attrezzati. Dunque, è aumentata l'offerta di aiuto, ma non ancora la domanda perché le donne continuano a fare più fatica di quelle del Nord a denunciare».
Oltre ai dati, tuttavia, in conclusione la relazione della commissione Femminicidio offre anche l'indicazione di una serie di interventi che sarebbero necessari. Una delle esigenze è quella di «una programmazione centrale e di un quadro unitario di riferimento in grado di ridurre le disomogeneità territoriali» da qui l'auspicio di una revisione dell'intesa Stato-Regioni che risale al 2014 - ma anche di una «semplificazione e sburocratizzazione» delle operazioni necessarie per accedere ai fondi, che è l'assunto di base - non sono ancora sufficienti.
Altra raccomandazione è «il superamento del meccanismo di riparto annuale» dei finanziamenti per passare a uno almeno triennale «che consentirebbe una programmazione più razionale degli impegni di spesa». Sempre secondo i suggerimenti della commissione «per consentire a tutte le amministrazioni coinvolte di agire verso un miglioramento della qualità dei servizi, appare necessario ragionare non solo in termini di requisiti minimi, bensì nell'ottica della definizione di un insieme di standard e princìpi guida a cui tendere».
«La battaglia contro il femminicidio e la violenza di genere è soprattutto culturale - rimarca Valente- i centri antiviolenza e le case rifugio rappresentano oggi i soggetti che meglio di tutti gli altri sono in grado di leggere e riconoscere la violenza di genere per quello che è: il prodotto di una cultura patriarcale e maschilista e il portato di una relazione di potere ancora profondamente diseguale tra uomini e donne.

Investire su questa rete è stato cruciale, ora bisogna farlo di più e meglio anche per promuovere il cambiamento culturale che vogliamo».

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