Coronavirus: Primo Maggio senza lavoro, incubo posti svaniti nel nulla

Coronavirus: Primo Maggio senza lavoro, incubo posti svaniti nel nulla
di Nando Santonastaso
Venerdì 1 Maggio 2020, 00:00 - Ultimo agg. 12:00
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«Ora guardiamo alla ripresa, al cambiamento da governare sapientemente, riprogettando le filiere produttive», per evitare «ulteriori precarietà ed esclusioni e affrontare i ritardi antichi». Il Capo dello Stato, Sergio Mattarella, lancia manifestazioni e con 4,5 milioni di lavoratori che riprenderanno solo lunedì la loro attività, lancia un appello a «governare i cambiamenti» prodotti dall’epidemia che, di fatto «apre una fase nuova». E agli italiani invia un messaggio di speranza: «Riusciremo a superare le difficoltà», dice, nella consapevolezza che va seguita la linea del governo sulla prudenza e sulla gradualità nella Fase 2 di convivenza con il coronavirus: «Siamo riusciti ad attenuare molto la pericolosità dell’epidemia e dobbiamo difendere questo risultato per non rendere vani i sacrifici fatti fin qui». 

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Previsioni, stime e indicatori sul futuro dell’occupazione, però, sono tutti in picchiata. Da Confindustria a Srm, da Istat a Svimez, i numeri dei posti a rischio nel 2020, soprattutto nel settore privato e tra le pmi, fanno rabbrividire. E non si tratta solo di quelli che monitorano il Pil o la Cassa integrazione (6,7 milioni di lavoratori interessati finora, mai così tanti) a breve e medio termine: «Gli effetti negativi peggiori dell’impatto del Covid-19 sull’occupazione - dice ad esempio il Centro studi di Confcommercio - si vedranno sul numero di ore lavorate». Un caso su tutti, quello degli stagionali del turismo: «L’impossibilità in questo momento di svolgere reali azioni di ricerca di un lavoro avrà un impatto significativo». Roba che nemmeno il segnale arrivato ieri dall’Istat, con il calo di 170mila occupati a marzo rispetto a novembre 2019, può reggere il confronto. Lo dimostra l’aumento degli inattivi, 300mila in più in un solo mese quelli che un lavoro non lo cercano più. 

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Dice Luca Bianchi, direttore della Svimez, che sul Mezzogiorno l’impatto occupazionale «sarà pesantissimo perché riguarderà non solo la componente dei dipendenti ma anche quella degli autonomi, degli indipendenti cioè, che pure stava andando meglio. Rispetto a quanto accadde nel 2008, questa è oggi la novità più preoccupante». Sulle previsioni, l’economista resta cauto ma fino ad un certo punto: «Prevediamo un calo del Pil meridionale di 15 punti percentuali rispetto al 2008 – dice – e il rischio di uno choc occupazionale per 500mila unità, compresi i lavoratori che non erano stati riassorbiti dopo la grande crisi economica. La Cig durerà fino a tutto il 2020 per gran parte degli aventi diritto». Appesi ad un filo, insomma, in attesa che una “Fase 3” riapra una seria prospettiva di crescita: «Riattivare gli investimenti pubblici e privati, in particolare per edilizia e servizi alla persona, diventa fondamentale perché il tema delle semplificazioni finalmente sta passando: da questo punto di vista l’epidemia al Sud può diventare un’opportunità da sfruttare». 
 


Naturalmente i dati di oggi non risentono delle mini-riaperture annunciate dal governo a partire da lunedì: ma è altrettanto impossibile smentire lo scenario annunciato da Confindustria poche settimane fa, con la crescita del tasso di disoccupazione dal 9,9% di fine 2019 all’11,2% previsto per fine anno. Non a caso nel Def appena varato dal governo, la contrazione dell’occupazione è calcolata al 2,1%, cioè almeno mezzo milione di posti in meno, che in base allo scenario ipotizzato al Sud pare una stima prudenziale. Uno choc per un Paese che – sempre su dati 2019 – vedeva al lavoro 25 milioni e mezzo di persone (inserendo anche i lavoratori in nero), pari a circa il 63% della fascia di età 20-64 anni, uno dei livelli più bassi in Europa (la media sfiora il 73%). Il Mezzogiorno superava i 7 milioni ma era già in rosso rispetto al 2018 dello 0,8%. E meno male che il massiccio ricorso agli ammortizzatori sociali ha rallentato in parte la caduta. E’ vero che per ora non sono possibili licenziamenti ma è altrettanto vero che «sono almeno 14mila le imprese a rischio default perché a corto di liquidità e non in grado di pagare i fornitori: le compagnie assicurative del credito chiedono più garanzie statali altrimenti tireranno i temi in barca. Senza scudo sui crediti commerciali da parte del governo, infatti, sarà impossibile stabilizzare la rischiosità delle transazioni commerciali a loro favore» dice l’eurodeputato della Lega Valentino Grant.

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Parla di 442mila posti in meno l’Unione delle Camere di commercio, la metà dei quali nel turismo, sempre al netto di quelli che beneficeranno della Cig. Circa 190mila gli occupati in meno tra i lavoratori indipendenti, 232mila tra quelli privati. Nei due settori trainanti dell’economia nazionale, l’industria e i servizi, il calo è previsto rispettivamente in 113mila e 309mila unità. Ancor più nel dettaglio: la perdita di posti di lavoro nelle costruzioni sarà di altre 31mila unità, nella moda di 19mila, nel commercio di 72mila. Secondo un sondaggio dell’Associazione nazionale dei direttori del personale, inoltre, il 56% immagina chiusure e crisi aziendali, il 52% tassi di disoccupazione elevati e il 62% “una riprogettazione dell’attività lavorativa secondo le norme di tutela della salute e una costane prevenzione del virus”. 
 

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