Tre giorni di astensione, a partire da oggi, con un raduno nazionale che si terrà venerdì mattina a Roma. È l’onda lunga dei penalisti, che puntano a far sentire la propria voce a proposito della riforma della giustizia. Un’onda lunga che approda anche a Napoli, dove - da questa mattina - sono diversi i processi destinati ad essere rinviati: siamo intorno ai 1500 processi, che potrebbero saltare, di fronte a una partecipazione che qui a Napoli si annuncia massiccia. Da oggi fino a venerdì verranno celebrate solo udienze con detenuti o con quanti decidessero di non astenersi, in vista del corteo romano di venerdì mattina. Ma quali sono i punti che alimentano le rivendicazioni della piazza napoletana? La battaglia è su due punti in particolare, due questioni entrambe legate alla cosiddetta riforma di legge Cartabia e alla posizione del governo. Ma proviamo a capire su cosa verte la protesta delle toghe, a Napoli o nelle altre città italiane.
C’è la questione dell’Appello, alla luce delle modifiche inserite dalla legge Cartabia in materia di procedura penale. Vengono introdotte dei paletti per la formulazione di impugnazioni in appello. Paletti che, nell’ottica di chi indossa la toga, vengono considerati come delle limitazioni. Spiega il presidente della Camera penale Marco Campora: «Sono state introdotte delle limitazioni sulle garanzie degli imputati».
Ma più in generale, si riflette su altri punti da anni controversi e al centro del dibattito politico nazionale. Parliamo della riforma delle carriere, che - secondo i fautori dello sciopero - non troverebbe piena sintonia in seno a tutte le anime del governo. È un percorso possibile? È possibile immaginare una distinzione tra chi entra nei ranghi della magistratura inquirente rispetto a chi va a svolgere il ruolo di giudicante? Secondo l’interpretazione della maggior parte dei penalisti, è doveroso dividere le carriere di pm e giudici, mentre c’è chi ritiene che un pm disancorato dal rapporto con il giudice rappresenta un rischio per l’intera giurisdizione. Spiega il presidente Campora: «Assistiamo al dilagare di una cultura giustizialista e populista che punta ad innalzare pene e a invocare più carcere, che per noi non sono la soluzione delle criticità legate al mondo della giustizia».