Nei suoi racconti ci sono uomini incappucciati, crocifissi capovolti e tremendi stupri accompagnati dalla recita di preghiere e strane litanie. Un vero e proprio incubo che non le avrebbe dato tregua per 15 anni, durante i quali una ragazza ospite presso una famiglia affidataria avrebbe subito agghiaccianti abusi e sarebbe stata costretta a prendere parte a inquietanti riti satanici. Finiti a processo con l’accusa di riduzione in schiavitù e violenza sessuale, i genitori affidatari sono stati assolti ieri da tutte le imputazioni. Secondo il gup di Milano che li ha giudicati con il rito abbreviato, «il fatto non sussiste» e non ci sono prove a carico della coppia.
È una storia assurda e lunga tutta una vita, quella arrivata sul tavolo della Procura meneghina dopo la denuncia presentata da una donna, oggi 41enne, circa due anni fa a Firenze e poi trasferita per competenza nel capoluogo lombardo.
IL SEGNO DELLA CROCE
A condurre i riti sarebbe stata nello specifico la madre affidataria, che durante quei momenti terrificanti, le faceva il segno della croce sulla fronte e pronunciava varie “preghiere” e altre frasi in tono cantilenante. Alla fine del rito, ha raccontato la giovane, veniva cosparsa di cenere. Avrebbe ricevuto inoltre - questa è sempre la versione della ragazza - diverse minacce affinché non riferisse nulla di ciò che era costretta a subire. E stando ai risultati delle indagini coordinate dal pm milanese Stefano Ammendola, i due avrebbero esercitato sulla donna «poteri corrispondenti a quelli del diritto di proprietà» e per questo avrebbero dovuto essere condannati fino a otto anni di reclusionea.
Ma ieri è arrivata l’assoluzione per i genitori affidatari, difesi dagli avvocati Luigi De Mossi e Francesco Poggi, con una sentenza che constata nettamente l’assenza di prove per tutte le imputazioni. Il gup milanese Sofia Fioretta mette innanzitutto in luce la «personalità» della 41enne, «contrassegnata da rilevanti problematiche psichiche», documentate da diverse relazioni psichiatriche redatte negli anni, che sottolineando anche la presenza di «fattori» che possono «avere effetti sulla sua capacità di rievocare».
Dai vari medici che l’hanno esaminata, ricorda il gup, è stata ritenuta «ambigua, ondivaga, incoerente, ambivalente», dunque «di non credibilità soggettiva». Il giudice ha poi messo in evidenza come agli atti non vi sia «alcun documento e alcun teste diretto ed oculare dei fatti e delle circostanze» denunciate, molte delle quali risultano «incongrue ed ambigue, significative del rapporto ambivalente - già segnalato dagli psichiatri - che la giovane aveva nei confronti degli imputati». Per alcuni specifici episodi di violenza, poi, il giudice sottolinea anche «la inverosimiglianza e la fantasiosità del racconto».
Di tutt’altro parere è l’avvocato Massimo Rossi, che assiste la donna e fa sapere che non ha intenzione di arrendersi. Il verdetto di ieri è «un’offesa» nei confronti della presunta vittima che, come sottolinea il legale, «per la prima volta era stata creduta e adesso è di nuovo all’inferno. Io questo non lo tollero, mi batterò fino in fondo».