Costretta dal datore di lavoro a coprire i tatuaggi con nastro adesivo: verrà risarcita

Donna costretta dal datore di lavoro a coprire i tatuaggi con del nastro adesivo verrà risarcita
Donna costretta dal datore di lavoro a coprire i tatuaggi con del nastro adesivo verrà risarcita
di Marta Ferraro
Martedì 12 Aprile 2022, 19:10
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In Brasile, il Tribunale Regionale del Lavoro della 1° Regione ha condannato un'azienda del Distretto Federale a pagare 14.275 reais, circa 2.800 euro, per danni morali causati a una dipendente che doveva coprire quotidianamente i suoi tatuaggi con del nastro adesivo per poter lavorare.

La decisione è stata presa dal giudice supplente Katarina Roberta Mousinho de Matos Brandão, che ha ritenuto vessatorio e umiliante il trattamento riservato dall'azienda alla lavoratrice.
Secondo la causa, come spiega g1, la donna è stata costretta a portare il rossetto e ha subito un trattamento diverso dagli altri colleghi, a causa dei suoi tatuaggi. Secondo le dichiarazioni della lavoratrice, i tatuaggi non dovevano essere visibili ai clienti, e dovevano essere coperti con del nastro adesivo, pena il licenziamento. A causa del nastro adesivo, dice di essere stata soprannominata «l'assistente della mummia».


Nella sentenza, il giudice ha preso in considerazione la Convenzione interamericana del 1994, in cui si afferma che «la violenza contro le donne è qualsiasi comportamento basato sul genere, che causi morte, danno o sofferenza fisica, sessuale o psicologica alle donne, sia nella sfera pubblica che in quella privata». Inoltre, ai sensi dell'articolo 6, «il diritto di ogni donna a essere libera dalla violenza comprende, tra l'altro, il diritto di ogni donna a essere libera da ogni forma di discriminazione».

Per il magistrato, è dovere del datore di lavoro frenare la pratica delle molestie morali e garantire il rispetto delle donne, evitando pratiche che ledono la dignità umana e creano un ambiente umiliante per le donne.

Secondo la decisione, l'azienda ha dispensato «trattamenti vessatori e umilianti alla lavoratrice», offendendo la sua dignità e provocandole un «profondo shock psicologico».

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