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Putin e il 9 maggio, il presidente russo oggi celebrerà un falso storico: ecco perché

Putin e il 9 maggio, il presidente russo oggi celebrerà un "falso storico": ecco perché
Putin e il 9 maggio, il presidente russo oggi celebrerà un "falso storico": ecco perché
di Carlo Nordio
Articolo riservato agli abbonati
Lunedì 9 Maggio 2022, 07:00 - Ultimo agg. : 11:11
6 Minuti di Lettura

Non sappiamo se durante la sfilata di oggi Vladimir Putin annuncerà vittorie, proferirà minacce, o farà entrambe le cose. Ma in ogni caso rievocherà l’epilogo della seconda guerra mondiale e dirà ai russi che i tedeschi furono battuti esclusivamente da loro. Una tesi falsa e quasi ridicola, perché se è vero che l’Armata Rossa si batté con estremo valore ed ebbe circa sette milioni di morti, è altrettanto vero che il contributo degli angloamericani alla sconfitta di Hitler fu più determinante di quello di Stalin. Non solo. Mentre a Churchill va riconosciuto il merito di aver tenuto alto il vessillo della democrazia nell’ora più buia, a Stalin va la colpa di avere facilitato, se non addirittura determinato, lo scoppio del conflitto. Su queste conclusioni ormai la gran parte degli storici è sostanzialmente d’accordo. E provo a riassumerli in tre punti. 

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Primo, la responsabilità politica. Con il trattato di Versailles del 1919 i confini dell’Europa centrale erano stati ridisegnati, e alcuni territori abitati prevalentemente da popoli di lingua tedesca erano stati attribuiti ad altre nazioni, come la Cecoslovacchia e la Polonia. Assunto il potere nel gennaio del 1933, Hitler fece quello che sta facendo ora Putin per la Crimea e il Donbass: pretese la restituzione di quelle zone germanofone. Prima rimilitarizzò la Renana, poi invase l’Austria, e nel 1938, con la codarda abdicazione a Monaco di Chamberlain e del suo “appeasement”, si prese i Sudeti. Violando questo stesso accordo, dopo qualche mese entrò anche a Praga. Poi si riposò, per rafforzare l’esercito, e l’anno successivo avanzò le pretese su Danzica. Solo allora le democrazie occidentali capirono che l’appetito del dittatore era insaziabile, e lo avvertirono che l’invasione della Polonia avrebbe significato la guerra. Hitler esitò, perché temeva le reazione dell’Urss: una guerra sui due fronti era quello che temeva di più. Ed ecco la colpa di Stalin. Invece di sostenere Francia e Gran Bretagna, lo spregiudicato georgiano stipulò, il 23 agosto 1939, il patto di non aggressione con Berlino, con un accordo sottostante che prevedeva l’ennesima spartizione della Polonia. Ed infatti una settimana dopo la Wehrmacht avanzò su Varsavia da tre direzioni. La Russia attaccò da est il 17 settembre.  

La svastica e la bandiera rossa si incontrarono a metà strada e si divisero il bottino. I nazisti cominciarono la caccia agli ebrei, e i comunisti massacrarono a Katyn oltre ventimila dirigenti polacchi, prevalentemente ufficiali dell’esercito sconfitto. Chi oggi critica l’ingresso della Polonia nella Nato farebbe bene a rileggersi quelle pagine di crimini. Per sovrapprezzo, Stalin si mangiò anche Lettonia, Estonia e Lituania, e attaccò la Finlandia. Rassicurato dal suo degno compagno, Hitler nel maggio del 1940 attaccò la Francia e in giugno entrò a Parigi. Stalin si congratulò con lui, e i partiti comunisti occidentali, compresi quelli clandestini perseguitati dai fascisti, plaudirono alla sconfitta dei «capitalisti plutocrati». Non sappiamo se, senza quell’accordo, Hitler avrebbe comunque scatenato la guerra. Ma sappiamo che la scatenò subito dopo averlo firmato. 

Secondo, l’aspetto militare. Qui è perfettamente vero che la grande massa dell’esercito tedesco fu impiegata contro i sovietici e logorata dalla loro eroica resistenza. L’invasione dell’Urss nel giugno del 1941 vide la partecipazione di oltre 150 divisioni, che annientarono in poche settimane intere armate sovietiche con centinaia di migliaia di caduti e di prigionieri. L’abilità dei feldmarescialli di Hitler fu comunque assecondata dalla crudeltà di Stalin, che negli anni precedenti aveva fatto fucilare i suoi migliori generali, e dalla sua ostinazione a respingere gli avvertimenti sui preparativi di Hitler.  

Tuttavia la seconda guerra mondiale si svolse su un teatro gigantesco che va valutato nel suo complesso, senza limitarsi alle steppe bielorusse e ucraine. La Gran Bretagna dominò i mari, e bloccò i rifornimenti alla Germania di fondamentali materie prime, a cominciare dal carburante, e inflisse alla Wehrmacht la prima bruciante sconfitta a El Alamein. Con l’ingresso degli Stati Uniti le città e le industrie tedesche furono rase al suolo da migliaia di bombardieri, riducendo le capacità produttive e paralizzando le comunicazioni. Infine, dopo gli sbarchi in Italia e soprattutto in Normandia, Hitler dovette ritirare dal fronte russo forze cospicue, facilitando le offensive di Zukov e di Konev. Nel giugno del ‘44 le migliori divisioni delle Waffen SS e della Wehrmacht stazionavano in Francia, e nell’autunno di quell’anno l’intero sforzo bellico tedesco fu concentrato nell’imminente offensiva delle Ardenne. Non solo. Mentre i paracadutisti americani gelavano nell’assedio di Bastogne, centinaia di migliaia di fanti e di marines combattevano da soli contro i giapponesi, assistiti da un numero impressionante di navi e di aerei. Se Stalin poté impiegare in Europa anche le truppe siberiane, fu proprio perché il Giappone, occupato a fronteggiare gli Usa, aveva stipulato con lui una conveniente neutralità.  

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Terzo, e più importante di tutti, gli aiuti. A settembre del 1941 l’Urss aveva perduto quasi tutto il suo equipaggiamento militare, e questo fu ricostituito in gran parte dalle forniture gratuite degli angloamericani. Subito dopo l’aggressione di Hitler, infatti, gli inglesi apprestarono, con gravissimi rischi e ad altissimo prezzo, i convogli artici che rifornirono Mosca di armi, trasporti e generi alimentari. In complesso arrivarono oltre cinquemila carri armati, decine di migliaia di veicoli e milioni di tonnellate di munizioni e di grano. Ma l’aspetto più interessante, proprio perché più attuale, è che nel settembre del ‘41 gli Stati Uniti erano ancora neutrali, e continuarono ad esserlo fino a dicembre, quando la Germania dichiarò loro guerra dopo l’attacco a Pearl Harbor. Chissà se oggi Putin si ricorderà che rifornire di armi un paese aggredito non significa per ciò stesso entrare in guerra con l’aggressore. 

Concludo. Sarebbe bello se la parata del 9 maggio rendesse onore ai russi, e agli stessi ucraini che combattevano sotto la medesima bandiera, per avere sconfitto la belva nazista accanto agli americani, agli inglesi e alle altre forze alleate. E sarebbe bello se Putin, tra una devota candela e una patriottica omelia del patriarca moscovita, esaltasse il principio della libera autodeterminazione dei popoli e della intangibilità delle frontiere. Ma non lo farà. Al contrario, temiamo che con il suo discorso smentirà la stessa ragion d’esser di questa celebrazione. Ed esaltando la memoria dei soldati di ieri, morti per difendere la Santa Madre Russia, in realtà ne oltraggerà la memoria, perché i suoi soldati di oggi stanno combattendo per sopprimere l’indipendenza dell’Ucraina, e uccidere chi difende i confini della propria Patria. 

© RIPRODUZIONE RISERVATA
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