Estorsioni, droga e armi: stangata per il clan del “sistema Pagani”

Riconosciuta l’associazione mafiosa e dunque l’esistenza sia di un clan riconducibile ai Fezza-De Vivo di Pagani che a quello di Rosario Giugliano, “o’ minorenne”, l’ex sicario della Nuova Famiglia.

Il collaboratore di giustizia Rosario Giugliano
Il collaboratore di giustizia Rosario Giugliano
di Nicola Sorrentino
Venerdì 15 Dicembre 2023, 07:00 - Ultimo agg. 10:40
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Clan Fezza-De Vivo, arrivano le prime condanne per nove delle persone coinvolte nella maxi inchiesta della Dda Antimafia, sul gruppo criminale di Pagani. Ieri mattina la sentenza emessa dal gup del Tribunale di Salerno, al termine dei riti abbreviati, con la quale è stata riconosciuta l’associazione mafiosa e dunque l’esistenza sia di un clan riconducibile ai Fezza-De Vivo di Pagani che a quello di Rosario Giugliano, “o’ minorenne”, l’ex sicario della Nuova Famiglia

Queste le pronunce del gup Vincenzo Pellegrino: 19 anni e 10 mesi per Anthony Acquaviva; 5 anni e 6 mesi per Raffaele Carrillo; 3 anni e 10 mesi per Antonio Fisichella; 9 anni e 8 mesi per Salvatore Giglio; 6 anni e 8 mesi per Nicola Liguori; 6 anni e 6 mesi per Alfonso Manzella; 10 anni e 2 mesi per Francesco Sorrentino; 5 mesi per Giovanni Orefice (collaboratore di giustizia). Infine, il tribunale ha condannato a 9 anni e 8 mesi Rosario Giugliano, il boss diventato collaboratore di giustizia. Assolto, infine, dalle accuse Benito Russo. Serviranno 90 giorni per le motivazioni del giudice, al fine di comprendere nel dettaglio il perché hanno retto determinate accuse, rispetto ad altre, con alcune delle aggravanti escluse per una serie di reati. La posizione di Vincenzo Confessore, ritenuto tra i reggenti del clan, ultimo latitante arrestato dopo il blitz di dicembre 2022, sarà definita il prossimo gennaio. Anche per lui c’è la richiesta di abbreviato. Sullo sfondo c’è l’indagine della Dda di Salerno, condotta dal sostituto procuratore Elena Guarino. Dal lavoro congiunto di Squadra Mobile, Carabinieri e Guardia di Finanza, fu ricostruita la genesi di un sistema mafioso a Pagani. Con l’esistenza di un clan ben strutturato, le cui attività criminali si sarebbero sviluppate grazie alla “federazione” con un altro gruppo, quello di Poggiomarino, con a capo Rosario Giugliano “o’ minorenne”, inquadrato quale consigliere delle famiglie paganesi. La scorsa estate Giugliano ha scelto di collaborare con la giustizia, chiarendo ancor meglio i ruoli del gruppo camorristico dell’Agro, delineando ruoli e interessi. I suoi verbali, in gran parte ancora coperti da omissis, danno conferma di una seconda inchiesta dell’Antimafia sull’intero Agro nocerino sarnese. A capo del clan, con base logistica nel centro storico della città di Pagani, vi sarebbero stati Francesco Fezza e Andrea De Vivo, le cui posizioni sono al vaglio del collegio di Nocera Inferiore. Loro, così come il resto degli imputati, hanno infatti scelto il rito ordinario. 

Tra le accuse al vaglio del gup e del tribunale di Nocera Inferiore, a seconda dei ruoli, ci sono estorsione, possesso di armi, tangenti imposte a tutti i capi pusher, intestazioni fittizie, tentato omicidio, autoriciclaggio, favoreggiamento e detenzione di droga. Dopo aver «estromesso» la famiglia D’Auria Petrosino - come evidenziato dall’inchiesta - il nuovo clan avrebbe cambiato strategia, in primis, sul traffico di stupefacenti, imponendo un’estorsione mensile ai capi piazza, liberi di comprare la droga dovunque volessero. Chi non pagava veniva pestato senza altre possibilità. Accusa, quest’ultima, al vaglio del tribunale di Nocera. Inoltre, il gruppo avrebbe occultato e reinvestito i proventi dei traffici illeciti - in Spagna ad esempio - che provenivano anche dalle estorsioni ad attività commerciali. L’indagine raccontò anche di infiltrazioni nella pubblica amministrazione, come la possibilità di gestire il servizio di sanificazione in epoca Covid, costata il pestaggio ad un imprenditore “concorrente”.

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Gli interessi del “sistema paganese” erano in parte, legati, anche al gruppo criminale di Giugliano, a sua volta interessato ad espandersi nella zona industriale di Nocera Inferiore e in altri comuni, come Angri, dove il clan fallì l’agguato contro l’imprenditore Domenico Chiavazzo, intimidito per il pagamento di una tangente di 200mila euro. I fatti vanno dal 2019 al 2021.
 

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