Marzia Capezzuti torturata e uccisa, la video-confessione in diretta Instagram

In arresto la cognata, il compagno e il figlio 15enne. Il ragazzo si assume tutte le colpe per salvarli

Marzia Capezzuti, Damiano Noschese e Barbara Vacchiano
Marzia Capezzuti, Damiano Noschese e Barbara Vacchiano
di Petronilla Carillo
Mercoledì 19 Aprile 2023, 22:59 - Ultimo agg. 21 Aprile, 07:05
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La confessione dell’omicidio di Marzia Capezzuti, la ragazza ritrovata senza vita in un casolare di Pontecagnano Faiano, in un video di quattro minuti e ventisette secondi registrato da una diretta Instagram e consegnato agli inquirenti. È il quindicenne, destinatario ieri di un provvedimento restrittivo, in un istituto di pena minorile, a raccontare alla sorella Annamaria Vacchiano cosa è avvenuto la notte tra il 6 e il 7 marzo 2022 quando la 29enne, con handicap psichici, è stata portata via da quella abitazione di via Verdi 24 a Pontecagnano Faiano dove avvenivano le torture e i maltrattamenti.

«L’amma affucat» dice il quindicenne alla sorella ammettendo di volersi assumere lui tutte le responsabilità dell’omicidio e salvare, così, la mamma Barbara Vacchiano e, di conseguenza, il compagno di lei, Damiano Noschese. Anche se in un primo momento aveva detto di averle buttato l’acido addosso. Entrambi ieri sono stati arrestati in esecuzione di una ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip del tribunale di Salerno Alfonso Scermino, su richiesta della procura, diretta dal procuratore capo Giuseppe Borrelli. Le accuse sono per i due, oltre a quella di omicidio, anche di maltrattamenti, tortura, sequestro di persona, indebito utilizzo di carte di pagamento.

Tra i Vacchiano Noschese e Marzia, nessun rapporto di parentela: lei era stata fidanzata con un fratello morto di Barbara. Quella sera del 6 marzo in quella abitazione lager erano presenti diversi ragazzi, alcuni anche minorenni, amici di un altro figlio della Vacchiano, Vito, agli arresti domiciliari, che erano andati lì per mangiare tutti insieme una pizza.

Barbara Vacchiano, a fine serata, dopo le 22.30, voleva far andare con lei, oltre al compagno e al figlio minorenne, anche l’altro ragazzo. Ma Vito si è rifiutato, chiedendo alla fidanzata, che si era intrattenuta con lui dopo la pizza, di fare storie con la madre se lo avesse obbligato ad uscire. 

«Dove mi state portando? Dove mi state portando? È buio...». Sarebbero state queste le ultime parole urlate da Marzia prima di essere costretta ad allontanarsi a bordo del camioncino con i suoi assassini. «Ti metto su un treno e ti mando da tua mamma», gli avrebbe risposto in dialetto la Vacchiano. Questo almeno, il racconto fatto ai carabinieri dalla ragazza ospite in casa in quel momento. Ma poi è Annamaria Vacchiano che strappa al fratello la confessione e il racconto della dinamica: la madre l’avrebbe soffocata strangolandola, poi l’avrebbero trascinata fin dentro al casolare abbandonato di Santa Tecla a Faiano. Infine sarebbe stato proprio il 15enne ad andare a controllare che Marzia si fosse «addormentata» su richiesta della donna. 

Un racconto lucido che lui fa via Instagram alla sorella. Ed è proprio Annamaria Vacchiano, la persona che ha consentito la svolta alle indagini dei carabinieri. Lei avrebbe indotto la compagna del suocero a contattare l’avvocato Stefania De Martino, responsabile di un centro antiviolenza, e segnalarle gli abusi e le violenze subite da Marzia. Facendo così scattare l’allarme. Maltrattamenti di cui lei, che viveva fuori casa, era stata testimone in poche occasioni ma che vedeva di volta in volta raccontate dallo stesso corpo di Marzia. Quando a settembre scatta il primo allarme e si inizia a cercare Marzia in quanto persona scomparsa, la ragazza era ancora viva. E, stando alle intercettazioni ambientali e alle testimonianze raccolte, pveniva chiusa in uno sgabuzzino per evitare che gli assistenti sociali o i carabinieri - che andavano controllare Vito Vacchiano che era ai domiciliari per una rapina - potessero vederla. 

Erano i soldi, la pensione Inps che Marzia percepiva per la sua disabilità a tenere in vita la ragazza. Ma l’odio che Barbara Vacchiano aveva per lei risaliva alla morte del fratello Alessandro, trovato senza vita a Napoli, per una overdose. «Deve fare la stessa fine di mio fratello», usava ripetere Barbara chiunque. Poi la decisione di ucciderla per paura che la trovassero. La situazione di disagio violenza che Marzia viveva era nota a molte persone: amici di famiglia e vicini di casa. Ma loro, ha confessato qualcuno ai carabinieri, «sono gente che fanno paura». Del resto la coppia non esitava ad usare violenza anche davanti ad un altro figlio di soli sette anni o a coinvolgere un 15enne in un omicidio. Nell’ordinanza il gip sostiene che i Vacchiano Noschese avevano un controllo «militare» sulla ragazza e che nel corso degli anni hanno provveduto ad isolarla sempre più da tutti anche dalla famiglia originaria anche se, nella oltre 240 pagine del provvedimento, il giudice per le indagini preliminari non «salva» i genitori per i disinteressamento avuto negli anni. La ragazza era già stata affidata ai servizi sociali ed aveva pessimi rapporti di convivenza con i genitori. Da Milano era venuta in Campania prima per un ragazzo conosciuto sui social e, quando questa storia efinì, era andata a vivere a casa dei Vacchiano per la sua relazione con Alessandro. 

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